L'accordo Israele - Paesi arabi: normalizzazione, non pace
Tempo di lettura: 3 minutiAlla Casa Bianca, con un Trump trionfante, Netanyahu ha firmato l’accordo che normalizza i rapporti tra Israele e due Paesi del Golfo, Emirati Arabi Uniti e Bahrein, con quest’ultimo aggiunto in extremis per dare un senso reale all’intesa, che altrimenti avrebbe potuto apparire un banale accordo tra due Stati.
Gli “Accordi di Abramo”, tale l’impegnativa definizione dell’intesa di ieri, alla quale così viene ascritto un significato ben più profondo e alto di un semplice accordo politico.
Il plauso e le critiche
Un’intesa che appare storica, dopo decenni di gelo generato dell’inevasa questione palestinese. Nessuna normalizzazione sembrava possibile se prima non fosse nata la Palestina, ma Netanyahu è stato abile a far obliterare al mondo tale priorità e ad andare a dama.
Certo, nella cerimonia è stata riaffermata la necessità di una patria dei palestinesi, e i Paesi che hanno firmato hanno assicurato che con tale accordo l’ipotesi di un’annessione delle terre palestinesi a Israele è archiviata.
Ma le parole e le rassicurazioni sono una cosa, la realtà è un’altra. I palestinesi hanno infatti guardato quanto avveniva a Washington con delusione e irritazione, reputando che i Paesi che hanno aderito all’intesa, e gli altri Paesi sunniti che inevitabilmente seguiranno, hanno ormai abbandonato la loro causa in nome degli affari.
Ci potrebbero essere conseguenze anche in seno alla Lega araba, che rischia di svaporare, e certo non mancheranno critiche interne nei Paesi aderenti.
Come resta da chiarire cosa avverrà nel confronto a tutto campo tra Arabia Saudita e Iran, ora che Israele si sta alleando anche formalmente con la prima (probabilmente l’adesione formale di Riad avverrà col cambio di guardia tra re Salman e Mohamed bin Salman sul trono saudita).
Insomma, tante incognite in questa storica firma, che, salutata come un accordo di pace, resta altro: una normalizzazione dei rapporti tra Israele e alcuni Paesi arabi.
Così descrive la cerimonia Noa Landau su Haaretz: “In questa scena surreale, i rappresentanti di quattro Paesi – Stati Uniti, Israele, Emirati Arabi Uniti e Bahrein – si sono riuniti per firmare accordi e dichiarazioni di pace, che, per quanto importanti e rivoluzionari possano essere, e per molti versi certamente lo sono, non hanno posto fine a nessuna guerra sanguinosa reale“.
Già, perché nessun conflitto ha agitato i rapporti tra Tel Aviv e Paesi del Golfo, peraltro alleati de facto nella guerra a bassa intensità contro l’Iran e suoi alleati.
La pace si fa con i nemici
“È vero – continua la Landau -, simbolicamente, un’altra parte del mondo arabo-musulmano ha ufficialmente accettato l’esistenza di Israele. Non è davvero una cosa da poco. È un punto di svolta che può anche essere definito storico – accanto a tutte le affermazioni e le critiche sulle sue motivazioni e implicazioni”.
Ma tutto ciò “non ricorda gli accordi di Oslo, dove almeno si è cercato di raggiungere la pace con i nemici. Gli accordi firmati martedì non richiedono profondi sacrifici di nessuna parte, salvo il congelamento dell’annessione di terre in Cisgiordania e il riconoscimento dei sionisti dall’altra parte”.
“Questo è il motivo per cui il sospiro di sollievo e l’apprezzamento collettivo che di solito accompagnano i risultati pagati con fatica e sangue, che tendono a placare i falchi, martedì sono mancati”.
Peraltro, forse sono esagerate le reprimenda dell’Iran, che nascono dal timore di vedere realizzato il sogno neocon di una grande alleanza araba – la cosiddetta Nato sunnita – pronta a incenerire Teheran.
E certo le loro accuse risentono di un intento propagandistico, mirato a presentare Teheran come faro dei diritti dei popoli arabi, con particolare riguardo alla Palestina. Ma hanno anche qualche fondamento.
Né i palestinesi hanno tutti i torti a temere che la normalizzazione non bloccherà affatto l’annessione, solo congelata per l’occasione, come fanno temere le parole dell’inviato israeliano all’Onu, secondo il quale “l’annessione resta sul tavolo“.
La firma: tra storia e cronaca
Insomma, parlare di “pace” regionale è del tutto errato. Lo dimostra peraltro lo scambio di colpi, missili e bombardamenti successivi, tra Gaza e Israele avvenuto mentre a Washington si scriveva la storia.
Peraltro il passo storico si intreccia con la cronaca, dato che Bahrein e Emirati Arabi Uniti si sono volentieri prestati all’ennesimo gioco politico intercorso tra Washington e Tel Aviv.
La storica firma ha ridato slancio a un barcollante Netanyahu, inseguito da magistrati e manifestanti, e rinfocolato le residue speranze di rielezione di Trunp.
Il loro successo politico è indiscusso, tanto che hanno dovuto plaudire anche tanti dei loro oppositori, dato il consenso di cui gode l’intesa in seno alla comunità ebraica israeliana e internazionale e presso tanta élite araba. Consenso oliato dalle sue munifiche conseguenze commerciali che già si stagliano all’orizzonte.
Resta però che, seppur frutto di un lungo lavorio diplomatico e sebbene potenzialmente possa indirettamente (così la Landau) aprire prospettive alla pace regionale (ma da vedere), la storica firma è stata raggiunta sotto l’urgenza delle contingenze politiche e realizzata con la celerità del caso.
In genere la fretta non aiuta a compiere passi meditati. Ma tant’è, il passo è fatto, resta da attenderne gli sviluppi.