Bomba sulle presidenziali Usa: Trump ha il Covid-19
Tempo di lettura: 3 minutiL’annuncio è suonato come una bomba, data la feroce battaglia per la Casa Bianca: Donald Trump e la First Lady Melania hanno il coronavirus. Probabile fonte del contagio un’assistente del presidente. Trump entra in quarantena, come da suo tweet nel quale dà notizia dell’accaduto.
Per ora non si hanno notizie sulle sue condizioni, possiamo solo dar conto che finora il virus ha colpito diversi leader politici, ma nessuno di questi ha subito grave nocumento (Boris Johnson a parte, che ha invece rischiato la vita, suscitando non poche fibrillazioni nel suo alter ego d’oltreoceano, che ha chiamato direttamente i dottori che l’avevano in cura).
Trump: il presidente azzoppato
Incidente di percorso di notevole impatto per le le elezioni, dato che la quarantena costringerà il presidente ad allentare la presa. Certo proseguirà tramite social e grazie alla macchina elettorale repubblicana, ma non è la stessa cosa. In un’elezione tanto in bilico, in cui conterà ogni singolo voto, è una tegola non da poco.
Inoltre, la caduta di Trump dà nuova forza alla campagna avversa, che gli rimprovera di aver sottovalutato il pericolo derivante dal coronavirus, favorendone la diffusione.
La notizia del contagio del presidente, scrive infatti il New York Times, “è giunta dopo mesi nei quali egli ha minimizzato la gravità dell’epidemia che ha ucciso più di 207.000 persone negli Stati Uniti e alcune ore dopo aver insistito sul fatto che ‘la fine della pandemia è in vista’”.
Infine, l’infermità, pur se di lieve entità, non giova a un presidente che che ha fatto dell’ostentazione della sicurezza di sé e della fiducia nelle proprie capacità il suo tratto distintivo.
Da ricordare, peraltro, come la politica americana identifichi come “anatra zoppa” un presidente che non ha o ha perso la maggioranza del Congresso, da cui una limitazione del suo potere. Non è il caso precipuo, ovvio, ma anche sì. Impegnarsi in una campagna elettorale come anatra zoppa potrebbe portargli sfortuna.
Infine, anche se forse non collegato, di certo produce certa suggestione un articolo odierno del Washington Post dal seguente titolo: “Cosa succede se un candidato alla presidenza degli Stati Uniti muore prima delle elezioni o dell’insediamento?”.
L’articolo (prima parte di due) era stato pubblicato il 16 maggio a firma di Joshua Tucker, e proponeva quesiti su tale tema, quasi terra inesplorata, a Richard Pildes, costituzionalista affermato.
L’idea di proporre un’analisi tanto complessa e funerea nasceva dalla “diffusione della pandemia e due [allora, ndr.] probabili candidati over 70”. La tempestiva ripubblicazione del testo dà ragione della preveggenza di allora.
Il peso dei delegati
In attesa degli eventi, si può annotare un nuovo sviluppo di questa travagliata campagna elettorale, precedente al malanno di Trump. I democratici si sono attivati per l’eventualità che né Biden né Trump vincano le elezioni, un caso che ha un solo precedente del 1876 (Politico).
Una situazione che cambierebbe del tutto i meccanismi di nomina. Normalmente i presidenti vengono eletti tramite un’elezione indiretta: gli sfidanti alla Casa Bianca si contendono i delegati messi in palio dai vari Stati della Federazione, che variano in numero e nelle dinamiche della composizione (in alcuni chi vince prende tutto, in altri i delegati sono assegnati proporzionalmente ai voti ricevuti).
Sono tali delegati che poi eleggono il presidente nelle normali elezioni. Ma se non ci sarà un chiaro vincitore al momento in cui il Congresso è chiamato a riconoscere il presidente eletto, cambia tutto.
I delegati di ogni singolo Stato dovranno infatti designare un solo delegato, al quale sarà assegnato il compito di votare per eleggere il presidente.
In tal modo verrebbe azzerato il peso dei singoli Stati, così che l’Alaska, che ha un solo delegato, avrà lo steso peso della California o della Florida, Stati che hanno il maggior numero di delegati.
Una possibilità che oggi vede in vantaggio i repubblicani, da cui l’esortazione della Pelosi a un ulteriore impegno del suo partito in questa campagna elettorale, anche negli Stati finora snobbati per il loro peso relativo e perché sicuramente repubblicani.
Timori e manovre che danno conto delle tante e accese controversie che stanno emergendo in questa feroce competizione, sulla quale ora è calata la bomba del contagio di Trump.
Conflittualità alle stelle. Da tempo vari analisti prefigurano la possibilità di una nuova guerra civile americana. Oggi tale possibilità, finora giudicata impossibile, è diventata “quasi” possibile.
Un’eventualità che spaventa non poco l’élite americana e il mondo, che non possono permettersi che il cuore dell’impero sia preda di un’instabilità tanto profonda e tanto pericolosa per la stabilità globale, non solo geopolitica ma anche dei mercati. Da cui i possibili correttivi, più o meno auspicabili.