16 Ottobre 2020

Putin, il secondo vaccino e le sanzioni alla Russia

Putin, il secondo vaccino e le sanzioni alla Russia
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Si chiama EpiVaCorona il secondo vaccino russo contro il Covid-19. Lo ha annunciato Putin, che aveva già annunciato al mondo il primo vaccino, lo Sputnik V, questa estate.

Era l’11 agosto quando lo zar rivelò al mondo che la Russia aveva vinto la corsa globale al vaccino. Significativo il titolo della Reuters di allora: “Putin saluta il nuovo momento Sputnik perché la Russia è la prima ad approvare un vaccino per il COVID-19”.

Il momento Sputnik 

Già, il “momento Sputnik”, un riferimento a quando la Russia aveva vinto la corsa allo spazio, infliggendo alla rivale globale un’umiliazione cocente.

Così è stato per quel vaccino, nonostante lo scetticismo dell’Occidente, che non voleva né poteva ammettere che la Russia avesse vinto una corsa ancor più significativa, perché il coronavirus terrorizza il mondo.

Tante le domande della comunità scientifica sul farmaco russo, più che legittime, ma anche tante obiezioni che nascondevano a stento la contrarietà a concedere la vittoria all’avversario.

La Russia, era ed è l’obiezione principe, avrebbe anticipato i tempi, annunciando un farmaco non adeguatamente sperimentato. Fondata o non fondata che sia, resta che Mosca ha iniziato a produrre e a utilizzare lo Sputnik V – anche se la distribuzione generalizzata richiederà mesi -,  così che la domanda avrà risposta in tempi brevi, se cioè eviterà ulteriori lutti.

Mosca è sicura del suo, come anche Putin che ha già fatto vaccinare la figlia. E prove iniziali che il vaccino funziona, cioè produce anticorpi, sono state riferite dalla rivista Lancet (Bbc), anche se restano da verificare alcuni aspetti dell’applicazione su larga scala.

Vaccini e sanzioni

Ma al di là dell’efficacia del vaccino, resta la mossa di Putin, che, annunciando al mondo di aver vinto la corsa, si era procurato un grande guadagno di immagine.

Un guadagno polverizzato solo alcuni giorni dopo. Il 20 agosto, l’oppositore del Cremlino Alexej Navalny viene ricoverato in un ospedale di Omsk e la sua portavoce, Kira Yarmish, si affretta a denunciarne l’avvelenamento ad opera del Cremlino (nell’immediato parlerà di una tazza di tè avvelenata, poi il tiro viene corretto, etc… vedi Piccolenote).

Navalny, infatti, verrà poi trasferito a Berlino dove sarà riscontrata la presenza del terribile Novichok. Sull’assurdità di usare una bomba atomica – tale il gas sarin – per eliminare un nemico politico abbiamo scritto, non ci torneremo. Interessante, invece, la sequenza successiva, così veniamo all’oggi.

Il 14 ottobre Putin annuncia al mondo che la Russia ha registrato il suo secondo vaccino contro il COVID-19, l’ EpiVaCorona appunto.

Il giorno dopo l’Unione europea, che a sua volta aveva minacciato, ma tenuto in sospeso, l’emanazione di sanzioni contro Mosca per il caso Navalny, decide di procedere.

Nessuna possibilità di difesa

Così ancora una volta l’immagine della Russia e del suo zar viene, almeno nelle intenzioni, deturpata. Casualità, contingenze, forse. Resta che a pensar male si fa peccato, ma spesso si indovina.

Peraltro, le sanzioni sono state comminate senza alcun processo, senza che all’imputato sia stato dato modo di difendersi. La Ue è stata accusatrice e giudice ultimo in un processo che non consente appello.

Perché mentre la Ue chiedeva a Mosca di far chiarezza, non ha mai proceduto a trasmettere la documentazione comprovante l’avvelenamento, come da richieste pressanti di quest’ultima.

Un diniego fondato sul rispetto della privacy di Navalny, che a quanto pare non ha consentito la trasmissione.

Diniego che interpella, dato che l’accusa avrebbe guadagnato in credibilità se avesse esibito al mondo le prove del crimine. Al contrario, restano appunto le tante domande del caso, incrementate dal diniego medesimo. Tant’è.

Sanzioni ma niente stop al gas russo

Le nuove sanzioni della Ue hanno irritato non poco Mosca, che per bocca del suo ministro degli Esteri Sergej Lavrov ha minacciato di interrompere il dialogo con Bruxelles, perché fondato sulla diffidenza e non sul rispetto reciproco (Associated Press).

Si potrebbe reputare che tale chiusura non sia una gran perdita, mentre, al contrario, il dialogo è necessario per preservare il mondo da disastri.

Non solo perché senza diplomazia restano solo i rapporti di forza, ma perché tale braccio di ferro vedrebbe la Ue relegata ai margini della scacchiera geopolitica, dato che i rapporti di forza possono essere gestiti da chi ha la forza, cioè non Berlino, ma Washington.

Resta che, nonostante le tensioni, Berlino ha preservato da danni il North Stream 2, il gasdotto che dovrebbe portare gas russo in Germania, di grande significato strategico ferocemente avversato dagli Usa.

Dopo la vicenda di Navalny, e nell’incrudelirsi del confronto, era stata ventilata con forza l’opzione di una rescissione da parte di Berlino, che però ha resistito, preservando non solo il suo gas, ma anche, forse, altro e più importante. Da vedere se riuscirà a tener duro fino in fondo.

 

Ps. Sui media d’Occidente non si parla più del vaccino contro il Covid-19, non almeno in misura paragonabile a quanto se ne parlava mesi fa. E ciò, nonostante la ricerca sia ormai in fase avanzata.

Se se ne accenna è solo per segnalare un evento infausto, quando la sperimentazione si blocca per un imprevisto: è stato il caso del vaccino di Oxford e ieri per quello della Johnson & Johnson. Probabile che la comunicazione resterà invariata fino alla chiusura delle urne americane.