Trump lotta per evitare la sorte di Assange
Tempo di lettura: 3 minutiJoe Biden sarà il nuovo presidente degli Stati Uniti. Ormai tutti i media americani e quasi tutto il mondo hanno deciso che le azioni legali di Trump sono infondate e che dovrebbe accettare la sconfitta.
Ma Trump non molla, nonostante abbia poche possibilità di ribaltare la situazione. Diversi membri del suo partito lo hanno ormai abbandonato e sembra che anche all’interno della sua famiglia inizino a sorgere dubbi, tanto che anche il genero Jared Kushner, vicino ai neocon, starebbe facendo pressioni in tal senso (voce poi smentita).
La pandemia e l’informazione Usa
Il passare del tempo restringe le possibilità di ribaltare, dato che il mondo vorrebbe chiudere in fretta la parentesi Trump, non solo per l’ostilità di tanti alle sue politiche, ma anche perché il vuoto di potere nel cuore dell’Impero, in particolare in questo tempo pandemico, rischia di causare danni.
Così la pandemia, decisiva per la sorte elettorale di Biden, lo aiuta anche nel post elezioni. Biden sta cercando di rassicurare i cittadini americani, questo lo scopo del suo primo discorso dopo il risultato ufficioso, nel tentativo di sedare le proteste dei sostenitori di Trump, che stanno inondando i social media di recriminazioni e testimonianze, vere o false che siano, di manipolazioni elettorali.
In tale temperie i media Usa e le Big Tech si sono accreditati come arbitri del confronto elettorale, attraverso l’utilizzo massivo della censura, snei confronti sia del presidente sia delle fonti di informazione alternative, ma anche accreditando la vittoria di Biden presso le autorità costituite e il consesso internazionale.
Il fatto che tali organi di informazione siano stati apertamente ostili alla presidenza Trump e abbiano sbagliato in maniera clamorosa i sondaggi pre-elettorali, attribuendo a Biden stratosferici quanto suggestivi vantaggi, svaporati alle urne, avrebbe dovuto suggerire un passo indietro piuttosto che uno avanti. Tant’è.
Biden inizia a muoversi come nuovo presidente degli Stati Uniti, forzando la mano ai tempi, illustrando piani pandemici ed economici, a nulla importando i ricorsi di Trump. Il meccanismo va avanti, quindi, chiudendo spazi a scenari alternativi.
Così, mentre si attende l’ufficialità della sua nomina o un improbabile ribaltamento degli eventi, resta che l’America uscita dalle urne è divisa e lacerata e un incidente di percorso, come lo scorrere del sangue in piazza, diventa evento possibile. Tale eventualità renderebbe più ardua la resistenza di Trump, alla cui caparbietà quel sangue verrebbe attribuito.
Un Trump dopo Trump?
In questi giorni, l’ambito repubblicano si sta interpellando se sia possibile che Trump, sconfitto, possa rimanere comunque in politica, riportando il partito alla riscossa nel 2024, ma soprattutto coordinando una resistenza accanita alla nuova presidenza dall’esterno della Casa Bianca.
Pura illusione: se Trump esce dallo studio ovale sarà perseguito come e più di prima, e, senza lo scudo presidenziale e con tutto il potere in mano ai suoi nemici, finirà i suoi giorni in galera (se gli va bene).
Trump è perfettamente conscio del destino che lo attende e la sua resistenza ha dunque anche carattere esistenziale: né può sperare in un accordo, dato che sa perfettamente che non sarà rispettato.
Così, se perderà, come sembra scritto, è più che probabile che andrà a condividere il destino di Julian Assange, il fondatore di Wikileaks che, avendo sfidato il sistema, è andato incontro a un destino inesorabile e ad oggi irrevocabile.
Trump come Assange, dunque, due variabili nuove che, in modo diverso e in parte antagonista, il sistema ha osteggiato, sconfitto e triturato. Si sono attirati una punizione esemplare che è anche monito per il futuro.
La constatazione di Francis Fukuyama che il sistema liberista così come si è consolidato in questi anni è ormai irrevocabile, tanto da determinare la fine della storia, sarebbe così confermata.
La residua variabile Sanders
Resta però ancora da normalizzare la variabile Sanders, che dall’interno del partito democratico ha rappresentato analoga e diversa contestazione del sistema.
Ma il sistema è fiducioso nella possibilità di ricomprenderla, incanalandone le spinte riformatrici nel ristretto ambito ambientalista e sociale ed epurandone le spinte rivoluzionarie dirette a porre limiti alle Big Tech, al liberismo selvaggio e ad ammorbidire la proiezione globale dell’Impero d’Occidente.
E però Biden si è accreditato come l’unico candidato democratico che in qualche modo poteva far sue tali istanze rivoluzionarie, in ambito sia interno sia internazionale, pur se a scartamento ridotto.
Se la sua presidenza troverà conferma ufficiale avrà dunque l’arduo compito di non tradire tale tacito patto elettorale, ma, allo stesso tempo, di non irritare quel sistema che gli ha aperto la strada alla Casa Bianca e che ha le armi per incenerirlo: la sua fragilità senile e l’avventurismo del figlio Hunter (scandalo sedato durante la corsa elettorale).
Un esercizio di equilibrio che forse potrà condurre a lungo se riuscirà a usare sponde esterne, cioè utilizzando del cambiamento del mondo che si è verificato sotto la presidenza Trump: l’erosione dell’egemonia globale Usa e l’emersione prepotente di nuovi attori globali e regionali.
In altre parole, la sopravvivenza dell’accordo Biden-Sanders, e forse della stessa (ancora ufficiosa) presidenza Biden, dipenderà dai frutti del trumpismo. Bizzarrie della storia.