Sorpresa: un altro ex collaboratore dell'Fbi a Capitol Hill
Tempo di lettura: 4 minutiUno dei duecento uomini arrestati per l’assalto di Capitol Hill del 6 gennaio scorso ha lavorato a lungo con l’Fbi, con incarichi riservati e ad alto livello, come denota il fatto che gli fosse stato rilasciato un “nulla osta della sicurezza”, che ha conservato per “decenni”.
Lo conferma peraltro la sua carriera: l’uomo è stato, infatti, “capo sezione per l’FBI dal 2009 al 2010 e ha diretto una società di consulenza che collaborava con diverse agenzie governative degli Stati Uniti”.
Gli ex collaboratori dell’Fbi a Capitol Hill
La persona in questione è Thomas Edward Caldwell, ora sotto processo, membro, evidentemente non secondario, dell’organizzazione di destra Oath Keepers. A rivelare la carriera di Caldwell è stato il suo avvocato, che in base a tale collaborazione pregressa ha presentato istanza di scarcerazione.
Ne ha scritto The Hill e la notizia è stata rilanciata da diversi giornali internazionali, tra cui il Timesofisrael. Più che improbabile che l’avvocato di Caldwell abbia raccontato fole, dato che si sarebbe esposto a un crimine facilmente smascherabile dall’Fbi. Rischiare la prigione per difendere un assistito non rientra nella gamma delle strategie legali…
Ma, evidentemente, il legale di Caldwell non si aspettava che le sue rilevazioni facessero il giro del mondo, creando non poco imbarazzo alla Sicurezza americana, come evidenzia il fatto che, contattata da The Hill, l’Fbi abbia osservato un imbarazzato silenzio.
Silenzio al quale successivamente si è attenuto anche il legale, a sua volta contattato dal quotidiano americano. Un silenzio che sembra aver ben altra motivazione, dato che gli avvocati in genere aspirano alla risonanza mediatica, che può favorire un’evoluzione positiva del processo, ma soprattutto gli procura notorietà e quindi clienti. Deve aver capito di aver commesso un tragico errore…
Il suo assistito non era uno dei tanti assaltatori occasionali di Capitol Hill, per intenderci la massa giunta a Washington per manifestare il proprio sostegno a Trump che poi si è ritrovata a partecipare a uno degli eventi più traumatici degli Stati Uniti, più o meno equivalente al tragico settembre 2001.
Mentre assaltava il Campidoglio, infatti, Caldwell postava sulle piattaforme digitali messaggi che incitavano ad associarsi all’assalto, lodando se stesso per le sue qualità di “istigatore”.
Non solo, durante l’aggressione riceveva messaggi da qualcuno ben informato che gli dettagliava gli spostamenti degli occupanti del palazzo del potere, messaggi come questo: “Tutti i membri [della Camera, ndr] sono nei tunnel”…
Insomma, personaggio alquanto enigmatico, come enigmatici restano i suoi informati referenti.
In una nota precedente avevamo riferito che un altro esponente di spicco della destra eversiva americana, anch’essa protagonista dell’assalto, aveva lavorato per l’Fbi: si tratta di Henry “Enrique” Tarrio, leader incontrastato dei Proud Boys, anch’egli sotto processo. Un po’ troppa Fbi in tutto questo.
Sviste
In altra nota, invece, abbiamo riferito come l’assalto a Capitol Hill era stato ampiamente e dettagliatamente pubblicizzato via internet, tramite le piattaforme social. Operation Occupy Capitol Hill era la parola d’ordine che circolava da tempo sulle piattaforme in questione.
Messaggi che si rincorrevano in particolare su Facebook, con tanto di mappe dettagliate del Palazzo da occupare.
Questa informazione va letta anche alla luce della nota che abbiamo pubblicato ieri, nella quale riferivamo l’articolo del Time che raccontava di un’operazione segreta, una cospirazione, che aveva unito i titani del business, sindacati, attivisti e “benefattori” multimiliardari per detronizzare Trump.
E che aveva tanti obiettivi, tra questi quello di monitorare l’informazione “nemica” su internet, cioè la “disinformazione”. Operazione sulla quale erano state ampiamente sensibilizzati i giganti dei social, che vi avevano aderito con entusiasmo.
Una campagna che aveva dato risultati, come si evince dalla moltitudine di account di esponenti e attivisti della parte avversa che si sono visti revocare o sospendere l’account. E dalla massa di informazione “corretta” riversata nel web per contrastare la “disinformazione” in questione.
Eppure, nonostante questo monitoraggio capillare, e nonostante la sensibilizzazione estrema dell’Fbi nei confronti dei pericoli posti alla sicurezza americana dal razzismo e dal suprematismo, i messaggi relativi all’assalto a Capitol Hill hanno continuato a circolare liberamente, fino al disastro del 6 gennaio.
Questi i fatti. Le domande poste da tale sviste progressive sono tante, le risposte latitano. Riportiamo le dichiarazioni rese il 21 ottobre del 2020, in una conferenza stampa, dal direttore dell’Fbi Christopher Wray, sulle potenziali “interferenze straniere” o “altri crimini legati alle elezioni”.
“L’FBI sta lavorando a stretto contatto con la comunità di intelligence, così come con altri nostri partner federali, statali e locali, per condividere informazioni, rafforzare la sicurezza e identificare e contrastare qualsiasi minaccia”.
Una svista madornale prima dell’assalto e un’imbarazzante noncuranza durante l’assalto medesimo, come da dichiarazioni del responsabile della Sicurezza di Capitol Hill, il sergente d’armi Paul Irving, il quale ha affermato di aver contattato per ben sei volte la Guardia nazionale per chiedere protezione, inutilmente.
Affermazione che riteniamo veritiera perché Irving sa bene che le sue parole avrebbero potuto essere confutate facilmente tramite una banale verifica ai tabulati telefonici. Tant’è.
Ps. È iniziato il secondo impeachment contro Trump. Non sembra ci sia la maggioranza necessaria (tre quarti dell’assise), quindi non dovrebbe passare. Probabile, allora, che successivamente i suoi antagonisti proveranno a ricorrere al 14° emendamento della Costituzione, che vieta cariche istituzionali a chi si sia macchiato di “insurrezione o ribellione” contro le istituzioni medesime (vedi National Interest).