Usa: i malumori della sinistra dem verso Biden
Tempo di lettura: 4 minutiLa sinistra del Partito democratico inizia a essere delusa da Biden, ha scritto il New York Times. La sua politica estera non collima con quanto questa sperava. Se ha accolto con favore la decisione di chiudere il sostegno Usa alla guerra in Yemen, finora peraltro senza alcun esito, è “caduta preda della frustrazione quando [Biden] ha ordinato un attacco aereo in Siria e ha evitato di punire il principe ereditario dell’Arabia Saudita, Mohammed bin Salman, per il brutale omicidio di un giornalista dissidente e cittadino Usa, Jamal Khashoggi”
Biden ha alimentato tale malcontento quando, in un’intervista con ABC News, ha ammesso che sarebbe stato “difficile” rispettare “la scadenza del 1° maggio, fissata dall’amministrazione Trump, per ritirare le truppe dall’Afghanistan”.
Ma soprattutto, la sinistra dem (i liberali, come li definisce il NYT) è delusa per quanto Biden sta facendo sul dossier Iran, sul quale alle promesse sul ripristino dell’accordo sul nucleare, non sono seguite i fatti. Peraltro, sono in disaccordo sulla decisione di prorogare le sanzioni contro l’Iran, nonostante queste siano state comminate a torto, quando Teheran stava ancora rispettando l’intesa.
“I sostenitori dell’accordo originale – scrive il NYT – tra i quali si annoverano esponenti dell’amministrazione Obama […], affermano che il passare del tempo consente solo all’opposizione politica di rafforzarsi all’interno [degli Usa] e di dar spazio a eventi che possono innescare un’escalation nella pericolosa regione” mediorientale.
Le congratulazioni di Kushner e la rabbia di Sanders
Tale la drammatica situazione di stallo, che il cognato di Trump, Jared Kushner, si è complimentato con Biden per aver conservato verso l’Iran la politica estera dispiegata dal suo predecessore, endorsement ovviamente non gradito dalla sinistra dem.
In particolare, continua il NYT, il raid in Siria “ha fatto arrabbiare i liberali determinati a porre fine a quelle che chiamano le guerre ‘infinite’ o ‘per sempre’ dell’America – cioè le sue campagne militari e antiterrorismo in tutto il Medio Oriente e in alcune regioni dell’Africa, iniziate dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001”.
Sul punto, continua il quotidiano della Grande Mela, è intervenuto anche il “senatore Bernie Sanders, il quale ha detto che il raid ‘pone il nostro Paese sulla via per continuare le guerre infinite invece di chiuderle'”.
Sanders ha anche messo in dubbio la “giustificazione legale” del raid, avendo fatto notare che quanto avvenuto stride con le affermazioni della Casa Bianca, che dice di voler “sostenere l’iniziativa del Congresso volta ad abrogare e sostituire le leggi dell’era Bush, che conferiscono ai presidenti un’ampia autonomia sull’uso della forza”.
Porre fine ai “disastrosi interventi” Usa nel mondo
I liberali vorrebbero una “nuova politica estera americana che si basi molto meno sul potere militare, che allenti le tensioni con rivali come Iran e Cina ed eserciti una maggiore pressione […] nei confronti di alleati come l’Arabia Saudita e Israele”.
I timori della sinistra dem sono alimentati dal fatto che gli uomini che Biden ha messo a capo della Sicurezza e della Difesa Usa in passato sono stati tutti solerti sostenitori degli interventi Usa nel mondo.
A questo proposito, Katrina Vanden Heuvel ha lamentato che tra questi “non c’è nessuno che sia stato un chiaro e coerente oppositore dei nostri disastrosi interventi dispiegati in tutto il mondo”.
Tale la situazione, con l’ala sinistra del partito che si accorge solo adesso che non conta nulla e che i suoi voti sono serviti solo a evitare la rielezione di Trump, che peraltro nel secondo mandato sarebbe molto più libero e avrebbe potuto chiudere in gran parte il nefasto capitolo delle guerre infinite, come si era ripromesso.
Biden non può garantire neanche se stesso…
L’inner circle di Biden si difende, spiegando che è prematuro parlare di tradimento (1), spiega il NYT, ma il libro dei sogni della sinistra dem è destinato a rimanere tale.
Sanders e i suoi avevano stretto un patto con Biden, che avrebbe dovuto farsi garante delle loro istanze. Pensavano che ciò bastasse, ma era impossibile.
Per dar seguito all’intesa, Biden avrebbe dovuto portare nella sua amministrazione almeno qualcuno della sinistra dem, ma non ci è riuscito. E da solo poco può fare, anche perché debolissimo e a rischio sostituzione con la sua Vice Kamala Harris, la donna falco.
Proprio ieri, parlando di una visita online in un centro vaccinale, svolta insieme alla Vice, si è riferito alla Harris come “il presidente”. Gaffe notata da tanti, che hanno ricordato che non sia la prima volta che Biden identifica in tal modo la sua Vice.
Si capisce meglio, allora, perché ieri, rispondendo a Biden, che lo ha definito killer, Putin gli abbia augurato di godere di “una buona salute”. Ne ha bisogno (2).
Il giornalista killer
Di quest’ultima diatriba va rimarcato un passaggio. Tutti hanno notato che Biden ha assentito alla domanda del cronista, ma nessuno ha fatto notare che nella storia del giornalismo non si è visto un cronista domandare al presidente degli Stati Uniti se considerasse un killer il presidente di uno Stato straniero (a meno che non si trattasse di un cosiddetto Stato canaglia).
Particolare che dice molto dell’intervista, chiesta evidentemente per far cadere il presidente nella trappola. Il gaffeur imperiale ci è cascato, dovendo successivamente far dire dal suo addetto stampa che non provava rammarico, dato che un ripensamento immediato avrebbe incrementato il danno, dichiarando al mondo intero che il presidente degli Stati Uniti non sa interloquire con esso.
(1) È ovvio che Biden ha procrastinato il dossier Iran a dopo le elezioni israeliane, che si tengono martedì prossimo: Se dovesse perdere Netanyahu (difficile, ma non impossibile), strenuo avversario dell’accordo nucleare, gli sarebbe meno arduo riprendere il filo del dialogo.
(2) Salendo le scalette dell’Air Force One, oggi, Biden è caduto tre volte…