30 Aprile 2021

Il fallito golpe in Venezuela e la bandiera russa a Berlino

Il fallito golpe in Venezuela e la bandiera russa a Berlino
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Juan Guaidó raduna soldati e sostenitori il 30 aprile 2019

Nella ricorrenza del fallito golpe in Venezuela, Axios ha pubblicato un dettagliato resoconto di quanto avvenne quel giorno. Era il 30 aprile del 2019, allora, quando l’auto-proclamato presidente Juan Guaidò, ristretto in carcere, fu liberato a sorpresa e, preso il controllo di una caserma, annunciò al mondo l’inizio del golpe contro il presidente Maduro.

Tutto era pronto, ricorda Axios, tanti esponenti del governo venezuelano erano stati contattati e avevano aderito all’iniziativa. Tra questi “i capi della Corte suprema e delle Forze armate – rispettivamente Maikel Moreno e Vladimir Padrino – e altri nella cerchia ristretta di Maduro”.

Della partita, anche Manuel Ricardo Cristopher Figuera, a capo della Sebin, “il temuto Servizio bolivariano di intelligenza, famigerato per detenzioni arbitrarie e torture” (così, al tempo, il Foglio).

Una bella partita di giro: per cacciare un asserito tiranno si erano fatti accordi con i peggiori. Axios non esplicita i ruolo avuto dagli Stati Uniti nella vicenda, né può farlo, perché sarebbe ammettere l’indebita ingerenza Usa nel Paese latinoamericano, quel che in genere rimprovera ad altri.

Nondimeno, annota che allertato per quel giorno c’era anche “Francisco Santos, l’ambasciatore della Colombia negli Stati Uniti, che si era coordinato a stretto contatto con la Casa Bianca e con gli uomini di Guaidó in vista del 30 aprile”.

Insomma, la longa manus di Washington c’era, eccome. Axios, peraltro, annota la trepidanza di John Bolton, che “per la prima da quando era iniziato suo mandato come Consigliere per la sicurezza nazionale, svegliò Donald Trump”.

Guaidò, riferì Bolton all’ignaro Trump, “stava mettendo in atto il suo piano per dividere il regime e cacciare Maduro, e che la giornata avrebbe potuto terminare con entrambi i leader venezuelani in prigione” (anche Guaidò…?).

Insomma, a coordinare il golpe democratico era l’uomo delle bombe, il superfalco Usa passato alla storia per aver lavorato alacremente per incenerire l’Iraq e per aver sostenuto la necessità irrevocabile di bombardare mezzo mondo, come ebbe a rivelare un Trump esasperato.

Gli andò male. Le persone contattate abbandonarono al suo destino Guaidò (tranne il capo della Sebin, che fu destituito) e rimasero al fianco di Maduro. Tutto finì in breve tempo, con Guaidò costretto ad ammettere la sconfitta, nello sconforto dei superfalchi Usa, abbandonati anche da Trump, come ricorda Bolton ad Axios.

Nella sua ricostruzione, Axios riferisce le dichiarazioni di un venezuelano che fu fautore di quella rivoluzione democratica, come la definirono altri (e non golpe), un nostalgico di quell’avventura che si interpella sulla possibilità di riuscire dove allora si fallì, ora che alla Casa Bianca c’è Biden e non Trump.

Si spera che si evitino nuove avventure. Tante le controversie in corso riguardo il Venezuela, ma c’è tempo e spazio per cercare nuove vie, meno traumatiche, per rispondere alla tragica situazione del Paese, alle quali non è affatto estraneo il regime sanzionatorio inflitto dagli States (non allentato neanche durante la pandemia, ferocia della geopolitica). E senza necessariamente andare in collisione con Maduro, che peraltro aveva chiesto un incontro con Trump, al quale il presidente Usa si era detto disponibile (Axios).

Il tragico tempo dei golpe, delle repubbliche delle banane e delle dittature sudamericane dovrebbe avere degna sepoltura. Su questo tema, piace ricordare un articolo che ebbe a pubblicare il New York Times in merito al golpe contro Evo Morales in Bolivia. Una nota che ammoniva a evitare la “triste ricaduta nell’era dei Colpi di stato e dei contro-golpe reiterati che devastarono la Bolivia, spesso con la partecipazione clandestina della Cia”.

Al di là delle controversie del caso, sul governo bolivariano e sui suoi oppositori americani (ambiti, ambedue, non ascrivibili propriamente ai figli di Maria), val la pena spendere una chiosa finale su quegli avvenimenti.

Le geopolitica vive anche di simbologie, e i neocon in questo sono maestri, consegnati come sono agli dei della guerra e del caos. Così colpisce il giorno prescelto per il golpe: il 30 aprile.

Il 30 aprile è data più che simbolica: in quel giorno, nel 1945, e precisamente alle 22.50, veniva issata la bandiera russa sulle rovine del Reichstag, segno e simbolo della conquista di Berlino, strappata alla follia nazista (la foto che sarebbe entrata poi nella storia, di quella bandiera, fu scattata due giorni dopo, il 2 maggio). Forse Guaidò e i suoi amici americani avrebbero fatto meglio a evitare una simile coincidenza, quantomeno infelice.