Israele: Bennet cede a Netanyahu. E la guerra può finire
Tempo di lettura: 4 minutiNetanyahu sembra di nuovo salvo: Naftali Bennet, che finora aveva sostenuto la necessità di un governo di cambiamento in alleanza con il centrosinistra, ieri ha detto di aver cambiato idea, aprendo a un nuovo negoziato con il premier per formare un governo delle destre.
Netanyahu ha vinto la sua guerra e sembra che la pace, se di pace si può parlare, possa tornare in Israele, scossa dalla rivolta dei suoi cittadini arabi, che hanno dato vita a scontri con le forze di polizia, e anche a Gaza, con la quale Tel Aviv ha ingaggiato un nuovo duello con corollario di morti e feriti: 7 le vittime israeliane, un centinaio quelle di Gaza, il 40% delle quali donne e bambini.
Il ripensamento di Bennet
“La realtà è cambiata”, ha detto il leader del partito di ultradestra Yamina, riferendosi a quanto stava avvenendo all’interno del Paese e ai suoi confini.
Parole che sono arrivate quando la crisi sembrava precipitare il Medio Oriente in un nuovo abisso: di ieri, infatti, la notizia che Israele aveva deciso di avviare un intervento di terra contro Gaza, sviluppo che avrebbe comportato migliaia di vittime.
Notizia poi smentita in coincidenza temporale con le dichiarazioni di Bennet, che offre a Netanyahu la possibilità di conservare il potere.
La smentita indica che non si arriverà a un’escalation e che le operazioni militari sono destinate a finire, anche se servirà tempo perché le due cose vadano a concretizzarsi: i negoziati tra Netanyahu e Bennet devono produrre accordi reali e le forza israeliane dovranno trovare un modo per rivendicare una vittoria su Hamas.
Le trattative tra Bennet e Netanyahu potranno durare tempo, ma anche no, data la situazione di emergenza. E saranno molto diverse da quelle intavolate prima della crisi, quando il premier era disposto a tutto pur di trovare un accordo, arrivando addirittura a offrire al leader di Yamina la condivisione della premiership.
Ora invece Netanyahu può gestire i negoziati da una posizione di forza ed è probabile che chieda, oltre a un impegno di governo, il varo di una legge che lo salvi dal processo in corso, iniziativa che ritiene necessaria a preservarlo da quella che ha definito una persecuzione giudiziaria.
Iniziati i negoziati con Hamas
Per quanto riguarda la necessità di chiudere la guerra di Gaza con una vittoria, sarà sufficiente che la Difesa israeliana comunichi di aver neutralizzato i più importanti leader di Hamas e di avere drasticamente ridotto le capacità militari del movimento islamico, ripristinando la passata deterrenza.
Anche Hamas, ovviamente, potrà sbandierare la sua vittoria, potendo ostentare di aver colpito il nemico in profondità come mai prima e di averlo costretto a una tregua.
Inoltre, può rivendicare una vittoria sulla rivale Fatah, avendo dimostrato, così nella propaganda, di essere l’unico vero baluardo di difesa dei palestinesi a fronte dell’imbelle antagonista politico.
Con i suoi razzi, oltre ad ammazzare innocenti, tra cui anche due arabi israeliani in nome dei quali dice di agire, ha salvato un’altra volta Netanyahu e dato forza alla destra israeliana. D’altronde gli opposti si sostengono a vicenda, come rilevato dal New York Times in un articolo riportato nella nota precedente.
La tregua sembra così questione di giorni: d’altronde Hamas ha già proposto due volte il cessate il fuoco, richieste respinte al mittente da Netanyahu. Nel frattempo continueranno le operazioni aeree dei jet di Tel Aviv e il lancio di razzi di Hamas, mietendo altre vittime e seminando ulteriore odio tra ebrei e palestinesi.
Sul punto, una nota di Haaretz, che riferisce l’inizio di negoziati, anche se non ufficiali, tra le parti, ma ammonisce anche sulla possibilità di imprevisti: “Un promemoria: sia il conflitto di Gaza del 2014 che la seconda guerra del Libano del 2006 sono iniziati a causa di errori di comunicazione, incomprensioni e considerazioni errate di entrambe le parti, non come risultato di un piano”.
Il governo delle destre
In attesa degli sviluppi bellici, va dunque registrato che siamo presumibilmente all’alba di un nuovo governo Netanyahu, stavolta tutto di destra, cioè senza i centristi di Khaol Lavan a frenarne l’avventurismo.
Della partita, oltre a Yamina, potrebbe essere anche il partitino arabo Ra’am, sul quale riportiamo un cenno ripreso da Jewish new Syndacate: questo “movimento islamico ha le sue radici all’interno dei Fratelli Musulmani. L’organizzazione sorella di Ra’am nella Striscia di Gaza è il movimento di Hamas”.
Tale partito, distaccatosi dalla lista araba unita e da tempo corteggiato da Netanyahu e dalle opposizioni perché potrebbe essere decisivo per la formazione di un governo, si è sempre detto aperto a tutte le possibilità.
Concludiamo con un cenno di Haaretz: “In mezzo alla pressione del tragici eventi, Bennett ha dichiarato giovedì che un governo di cambiamento non era più all’ordine del giorno. Invece di restare nella breccia durante l’emergenza, si è piegato e ha spianato la strada all’opzione peggiore di tutte: il continuo regno della persona responsabile dello stato orribile in cui si trova il nostro paese”.
Haaretz è di parte, ovviamente, e dà voce all’opposizione, ma sembrava interessante riportare tale considerazione, perché indice che in Israele è forte il dibattito sia sulle prospettive del Paese sia sull’approccio che esso dovrebbe avere sulle varie e delicatissime questioni mediorientali.
Dibattito sopito in tempi di guerra, ma che riemergerà quando la polvere sollevata in questi giorni ricadrà a terra (prima della prossima crisi). Finestra di opportunità che potrebbe sparigliare partite che sembrano ormai chiuse.
Un post scriptum d’obbligo: sembra ripetersi il copione delle ultime elezioni. Netanyahu non aveva trovato i numeri per formare un governo. Durante lo stallo l’arrivo della crisi del coronavirus risolse Benny Gantz a lasciare le opposizioni per unirsi a lui. D’altronde Netanyahu, non a caso, viene definito “Mago”.