In vigore la tregua tra Israele e Gaza
Tempo di lettura: 3 minutiLa tregua è tornata a Gaza e in Israele, dopo 11 giorni di guerra. Le pressioni americane alla fine hanno convinto Netanyahu a riporre le armi nella fondina, accogliendo la proposta avanzata fin dai primi giorni dall’Egitto, che aveva portato a Tel Aviv l’offerta di Hamas.
Tregua armata che durerà quanto durerà, si spera almeno che tenga per i prossimi giorni, dato che il momento critico che attraversa la politica israeliana li rendono pericolosi.
Gaza, con Netanyahu vince Hamas
Avi Issacharov, sul Timesofisrael, interrogandosi sui vincenti e perdenti di questa mattanza, esplicita quel che altri media israeliani accennano in modo implicito. A vincere è “Netanyahu per il semplice motivo che questo round di scontri lo lascia al sicuro nella residenza del Primo Ministro in Balfour Street”.
E con Netanyahu ha vinto Hamas, che pur non potendo registrare successi significativi, può rivendicare di aver resistito all’esercito israeliano e si può proporre come unico difensore dei diritti dei palestinesi.
“E i grandi perdenti?”, si chiede il cronista. “Loro, ovviamente, sono i cittadini di Gaza e di Israele”.
Questo il risultato di una “politica controproducente e illogica che lavora per indebolire Fatah e l’Autorità Palestinese e mantenere intatto Hamas, per ragioni politiche, in modo che si possa affermare che non esiste un partner valido per i negoziati”.
Ma di questo abbiamo scritto già in note pregresse. Restano i morti, tanti a Gaza, di cui tanti bambini, pochi, ma non meno importanti, in Israele. E che l’America, per una volta, ha messo tutto il peso della sua diplomazia nella ricerca di questa tregua.
Biden ha scelto la via soft: in pubblico ha ribadito più volte che l’America era al fianco del suo alleato mediorientale e per ben tre volte ha dato mandato di bocciare una risoluzione dell’Onu volta a chiedere il cessate il fuoco; in privato, però, ha chiesto insistentemente a Netanyahu di porre fine ai bombardamenti.
Lo ha chiamato ben sei volte, parlando al suo interlocutore “in termini sempre più bruschi”, come riferisce il New York Times, perché il premier israeliano ha fatto orecchie da mercante.
Non solo, deve aver urtato non poco Biden il fatto che Bibi, dopo ogni telefonata, riferiva che il presidente americano gli aveva espresso la sua più ferma solidarietà, tanto che dopo l’ultima conversazione telefonica la Casa Bianca ha pubblicato un report del dialogo che si concludeva così: “Il presidente ha comunicato al primo ministro che si aspettava già oggi una significativa riduzione dell’escalation sulla via del cessate il fuoco”.
Un comunicato estremamente duro nella sostanza, come non si ricordava nella storia dei rapporti tra Israele e Stati Uniti, e che è apparso agli addetti ai lavori una sorta di ultimatum, come peraltro annota Haaretz.
Certo, non che Biden avesse troppe frecce nel suo arco, almeno a stare alla noncuranza con cui Netanyahu aveva snobbato i suoi precedenti appelli, culminata nell’abbattimento della Torre dei media di Gaza, che ospitava anche l’agenzia di stampa americana Associated Press, azione militare che negli Stati Uniti ha assunto un significato simbolico.
E però il presidente degli Stati Uniti avrebbe potuto comunque aumentare la pressione, anzitutto col diventare più condiscendente verso le richieste sempre più pressanti della sinistra dem volte a revocare gli aiuti militari Usa a Israele, oltre 4 miliardi di dollari l’anno, e forse abbandonare il freno alle Nazioni Unite.
Non solo con Netanyahu, Biden ha avuto conversazioni telefoniche anche con le autorità egiziane, che hanno mediato tra Hamas e Tel Aviv, a conferma di un’azione diplomatica a tutto campo.
Ma a convincere Netanyahu deve aver contribuito non poco anche l’apertura di Gideon Sa’ar, leader del partito di destra New Hope, che prima della guerra era stato uno strenuo sostenitore del governo di cambiamento, mentre tre giorni fa ha aperto a un nuovo governo con Netanyahu (Timesofisrael).
Questa la cronaca (nera) di questi giorni, alla quale va aggiunta una nota a margine: non solo i morti sotto le bombe, a Gaza si dovranno aggiungere quelli che moriranno nelle prossime ore a seguito delle ferite e per talune malattie, almeno a stare a un report delle Nazioni Unite che spiega come già sabato scorso “quattro ospedali gestiti dal ministero della salute di Gaza avevano subito danni, insieme a due ospedali gestiti da ONG, due cliniche, un centro sanitario e una struttura. appartenente alla Palestine Red Crescent Society”.
Tra questi, il centro Covid-19 di Gaza. Due medici sono morti sotto le bombe, tra cui Abu al-Auf, il più noto della Striscia, che si era preso in carico la formazione di nuovi dottori (The Guardian), mentre altri sono rimasti feriti. Orrori consueti di questa guerra infinita.