Biden e Putin: incontro il 16 giugno a Ginevra (e l'ombra di Trump)
Tempo di lettura: 3 minutiIl 16 giugno Biden e Putin si incontreranno a Ginevra. Il summit tanto atteso e in preparazione da tempo, probabilmente dall’ultima crisi ucraina (quando il mondo ebbe a sfiorare nuovamente una guerra globale, vedi Piccolenote), ha infine un luogo e una data.
L’incontro sarà l’occasione per discutere “dell’intera gamma delle questioni più urgenti, nel tentativo di ripristinare la prevedibilità e la stabilità delle relazioni Usa – Russia”, come ha dichiarato l’addetto stampa della Casa Bianca Jen Psaki.
Gli ha fatto eco un comunicato del Cremlino, secondo il quale si discuterà “dell’attuale condizione delle relazioni russo-statunitensi e le prospettive per il loro sviluppo, della stabilità strategica e delle questioni cruciali nell’agenda internazionale, come l’interazione nella lotta contro la pandemia da coronavirus e la risoluzione dei conflitti regionali”.
Secondo il National Interest, che riferisce dei comunicati di cui sopra, il summit non produrrà accordi, ma i due presidenti si metteranno seriamente “al lavoro”. Possibile, invece, che possano dare l’annuncio del rinnovo del “Trattato sui cieli aperti”, con dettagli da definire in seguito, ché questo importante freno alla proliferazione nucleare è di fatto attualmente nullo, con pericoli conseguenti.
Ginevra e i negoziati Usa – Iran
Importante la sede dell’incontro, che vede prevalere Ginevra su Vienna ed Helsinki, altre due città ipotizzate come possibili luoghi d’incontro. Ginevra ha un alto valore simbolico perché è in questa città che si stanno svolgendo i negoziati per il nucleare iraniano, tanto cruciali per il destino del mondo.
Biden ha portato avanti le trattative con l’Iran nonostante il terribile fuoco di sbarramento ad opera di tanti ambiti guerrafondai, potendo contare sull’appoggio, debole, della Ue, e quello più forte di Cina e Russia.
Scegliendo di incontrare Putin a Ginevra intende inviare un messaggio in tal senso. Se nel frattempo i negoziati si saranno conclusi, cosa difficile, con il ripristino dell’accordo pregresso, il summit tra i due presidenti ne sarebbe suggello autorevole.
Nel caso in cui il dialogo fosse ancora in corso, invierebbe un segnale forte in direzione di una sua risoluzione positiva.
In entrambi i casi, vuol dire al mondo che la geopolitica globale è tornata (tutta o almeno in parte) nelle mani dei legittimi leader delle grandi potenze, ripristinandone l’autorevolezza rispetto ai centri di potere locali e internazionali che l’hanno sequestrata in questo ventennio di guerre infinite. Non è cosa da poco.
La UE e la Russia
In parallelo all’annuncio del summit, Emmanuel Macron ha provato nuovamente ad aprire alla Russia. In un intervento al vertice UE del 26 maggio ha infatti fatto notare che la politica della sanzioni contro Mosca non porta da nessuna parte,
E ha aggiunto: “Penso che siamo nel momento della verità nel nostro rapporto con la Russia, momento che dovrebbe portarci a ripensare i termini della tensione che decidiamo di mettere in atto”.
Il summit ginevrino offre al presidente transalpino una chance per riprendere uno dei fili conduttori della sua presidenza, cioè la revisione del rapporto tra Bruxelles e Mosca, da tempo bloccato.
Potrebbe avere in questo una sponda tedesca, dato che la Germania, nonostante si sia allineata a Washington sul contrasto a Mosca, tale rapporto lo ha difeso strenuamente attraverso il North Stream 2, che Biden ha ormai sdoganato, facendo decadere il veto Usa al gasdotto che porterà la vitale risorsa energetica russa a Berlino.
Ma resta forte l’ambiguità teutonica. A complicare, infatti, la sua influenza sull’Europa dell’Est, che contende all’America, e i suoi tanti interessi in loco. L’attrito di tali Paesi con Mosca resta troppo acceso per favorire un dialogo con Mosca. Vedremo.
Biden e la Corea del Nord
Va rilevato, infine, che, incontrando Putin, Biden si muove sulla stessa direttrice di politica estera intrapresa da Trump, si spera con miglior fortuna, a dimostrazione di una segreta armonia tra i due inquilini della Casa Bianca.
Tale nascosta armonia si palesa anche nell’approccio alla Corea del Nord, altro nodo cruciale della passata presidenza. In un articolo del New York Times, Nicholas Eberstadt analizza, infatti, la dichiarazione congiunta resa da Biden e Moon Jae-in a conclusione della visita del presidente della Corea del Sud a Washington, in cui tale concordanza è evidente.
“Il testo della dichiarazione congiunta – scrive Eberstadt – suggerisce che Moon ha convinto gli Stati Uniti a rinnovare l’impegno per ‘la denuclearizzazione della penisola coreana’, per confermare gli accordi del 2018 che Kim Jong-un ha firmato con Moon e l’ ex presidente Donald Trump e per sostenere la creazione di un ambito di ‘pace permanente nella penisola coreana’. È un linguaggio scelto con attenzione per placare il signor Kim” Jong-un (presidente della Corea del Nord).
Come Trump, anche Biden troverà contrasto in tale arduo cammino, come si evince peraltro dalla durissima critica che promana dall’articolo di Eberstadt. Non stupisce, dato il curriculum dell’autore, che si è forgiato nei bellicosi ambiti neocon (vedi Militarist Monitor), i quali impazziscono al solo suono della parola “pace”.
D’altronde basta ricordare i folli sogni dell’alfiere neocon, l’ex Consigliere alla Sicurezza nazionale John Bolton, secondo il quale l’unica soluzione per portare la pace nella penisola sono le bombe (sulle efferatezze compiute da Bolton per minare la pace in Corea rimandiamo a un sito molto ben informato, 38 North, che prende il nome dal parallelo che separa Seul da Pyonyang).