I due Egitti e il ruolo dell'esercito
Tempo di lettura: 2 minuti«Speriamo di essere smentiti dai fatti, ma la probabilità che si possa raggiungere rapidamente un compromesso tale da riportare la pace in Egitto è estremamente bassa. Tutti i protagonisti di questa partita a tre – il presidente Mohamed Morsi e il fronte islamista, l’opposizione riunita nel Fronte di Salvezza Nazionale e l’esercito – sono consapevoli di star giocando probabilmente una manche decisiva per il loro futuro». Questo l’incipit di un articolo di Vittorio Emanuele Parsi sulla Stampa del 7 dicembre dedicato al durissimo scontro di piazza in atto in Egitto.
Conclude Parsi: «Il ritorno in piazza dei militari, su ordine presidenziale, potrebbe significare che Morsi ha l’effettivo controllo dell’esercito, al punto di poter contare sulla sua fedeltà. Ma non è da escludere che si sbagli anche in questo caso e che, se la situazione dovesse degenerare, l’esercito torni all’antico, a una tradizione che va ben oltre Mubarak, Sadat e persino Nasser, ma che affonda nelle origini dell’Egitto moderno: e si proponga come “salvatore della Patria”, imponendo la propria soluzione ai due popoli che si fronteggiano in Piazza Tahrir. Anche per l’esercito questa rappresenta forse l’ultima finestra di opportunità per tornare protagonista e difendere i privilegi (…). Ovviamente un simile intervento verrebbe presentato come “temporaneo” e giustificato dall’essere l’esercito il solo in grado di impedire la collisione sempre più violenta dei due Egitti, quello di Morsi e quello del Fronte di Salvezza Nazionale. Un richiamo implicito alla millenaria storia del Paese, in cui il faraone era chiamato “il signore dell’Alto e del Basso Egitto”».