5 Luglio 2021

Il puzzle afghano

Il puzzle afghano
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L’abbandono degli Usa della base aera di Bagram, lasciata in gestione all’esercito di Kabul, ha un significato simbolico, segna cioè la fine della lunga occupazione Usa di quel remoto Paese asiatico.

Perché Bagram è il stato il fulcro dell’occupazione, ponte aereo e ombelico che collegava il lontano Afghanistan agli Stati Uniti.

Non è un caso che, subito dopo, i talebani abbiano velocemente dilagato nel Paese, occupando molte zone strategiche del Nord praticamente senza combattere, dato che i militari afghani, in inferiorità, sono fuggiti.

Diverso il caso di Kandahar, da sempre obiettivo delle mire talebane, che è caduta dopo intensi combattimenti. Quanti oggi spargono allarme su quel che sta avvenendo, sono evidentemente digiuni di geopolitica, la quale non conosce vuoto.

Così era ovvio che il ritiro americano comportasse tale sviluppo, che ad oggi non lascia spazio a previsioni attendibili.

Il governo di Kabul non corre pericoli immediati: i talebani hanno dichiarato che la sua occupazione non è un loro obiettivo. Dichiarazione che vale quel che vale, ma che ha un fondamento, dato che Kabul, anche sotto l’occupazione Usa, non controllava che parte minima del territorio.

Ma non sono i talebani i protagonisti della politica afghana, che sono ben altri. Il Paese è tornato cuore del Grande Gioco asiatico, che oggi ha un interesse geopolitico più alto che nell’ottocento, quando Kipling consegnò alla geopolitica quell’insuperata definizione.

E ciò perché ora più di prima, l’Afghanistan è diventato terreno di scontro tra Occidente e Oriente, dato che vi confina la Cina con cui gli Usa hanno ingaggiato un duello globale alzo zero.

Pechino teme il contagio dell’islamismo afghano nelle regioni dello Xinjang, come già avvenuto nel recente passato, nonché la destabilizzazione di centri nodali della sua Via della Seta, che attraversa il Pakistan e interessa parte del territorio afghano.

Ma, ovviamente, non è solo la Cina a osservare con attenzione quanto avviene a Kabul, dato che al caos afghano guardano anche l’India, il Pakistan, la Russia, l’Iran, per citare solo i più importanti attori regionali, che, se da un lato sosterranno Kabul, dall’altro intrecceranno, come in passato, rapporti sottotraccia anche con parte dei talebani, non facendo molto affidamento sulla capacità del potere centrale per contenere le milizie armate.

Da vedere se qualcuno di questi Paesi si impegnerà direttamente nelle vicende afghane, inviando propri armati, cosa invero rischiosa, come ben sa la Russia che eviterà con cura di ripetere l’errore del passato.

Un altro attore a sorpresa del rebus afghano sembra sia la Turchia, alla quale si era pensato di lasciare la difesa dell’aeroporto di Bagram, idea poi decaduta, e che nasceva dall’ipotesi di un accordo Washington – Ankara per subappaltare, di fatto, ai turchi la difesa di Kabul.

Ipotesi ventilata da tempo, che prevedeva che la Turchia accettasse felicemente l’onere pur di ripristinare i rapporti con Washington. In realtà, Ankara ha suoi interessi sul Paese, dato che da tempo Erdogan aspira a ripristinare l’influenza turca sullo spazio già ottomano, a scapito dell’influenza russa sullo spazio ex sovietico (Uzbekistan, Tagikistan etc) e in danno della Cina, dato che anche lo Xinjang è interessato a tale visionaria velleità.

Ma Erdogan sa pure quanto costa un impegno diretto in loco, così che tale eventualità è a oggi ancora fuori dal tavolo, pur non mancando, sottotraccia, rapporti tra i talebani e la Fratellanza islamica che ha in lui un saldo riferimento geopolitico.

Né, ovviamente, il ritiro Usa sarà totale, come anche quello britannico, con Londra che ha già annunciato che le sue truppe di élite resteranno in loco.

Tanti, troppi, dunque, e conflittuali gli attori di questo Grande Gioco perché il puzzle afghano vada a una ricomposizione. Alcuni di questi attori (su tutti Cina, Russia e Iran) sono interessati a stabilizzare la situazione, altri, invece, niente affatto, dato che un focus di instabilità permanente ai confini di questi Paesi fa gioco ai loro antagonisti.

Così il conflitto che si sta consumando in questo sventurato Paese asiatico vede un contrasto tra forze stabilizzanti e destabilizzanti, un po’ come è avvenuto da anni, da quando cioè, i mujaheddin, cioè i talebani, presero il potere per conto degli Usa, avendo vinto la guerra contro l’invasore sovietico.

Ma mentre la presenza Usa paradossalmente garantiva la destabilizzazione permanente, essendo forza di occupazione e come tale foriera di resistenza, la dipartita delle sue truppe apre spazi a possibilità, pur se ad oggi aleatorie. Vedremo.