Kerry incontra Putin, non solo per parlare del tempo...
Tempo di lettura: 3 minutiNelle turbolenze del mondo, le piccole oasi di speranza sono normalmente obliate, anzi soffocate da notizie contrastanti. È quanto accaduto per la visita di John Kerry a Mosca di questi giorni, che prosegue quanto iniziato a Ginevra con l’incontro tra Putin e Biden.
Una visita che poteva saltare dopo l’attacco informatico che ha colpito un’azienda americana, con conseguenze nefaste per varie aziende statunitensi ed europee dipendenti dal suo software.
Accreditato, al solito, ai russi, il crimine ha offerto ai potenti ambiti che si oppongono a tale distensione l’opportunità di darle una scossa. Tante, infatti, le voci che hanno chiesto a Biden di rispondere duramente all’attacco.
Un coro che Biden non poteva ignorare, soprattutto dopo la presa di posizione del giornale della grande Finanza, il Wall Street Journal, che ha “implorato” il presidente Usa di agire contro Mosca.
Da qui la telefonata a Putin, nella quale Biden ha fatto le rimostranze del caso. Passo obbligato, che però non ha impedito che nel comunicato ufficiale della Casa Bianca che riferisce la conversazione si elogiasse “il lavoro congiunto delle rispettive squadre in seguito al vertice USA-Russia” riguardo la Siria.
Perché proprio in quei giorni, Stati Uniti e Russia avevano prodotto e portato all’approvazione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite una proposta per aprire un corridoio umanitario per la regione di Idlib, in Siria.
Una richiesta che gli Usa avevano avanzato da tempo, incontrando l’opposizione russa e siriana, che ben sanno come in passato tali corridoi siano stati utilizzati per portare armi e rifornimenti ai terroristi incistati in quell’enclave.
Al di là delle controversie pregresse, e delle nuove possibilità che tale iniziativa può offrire al Terrore, è evidente che la convergenza Russia-Usa ha un altro valore simbolico, tanto che l’inviato russo all’Onu, Vasily Nebenzya, ha parlato di un momento “storico“.
È in questa prospettiva che va inquadrata la visita di John Kerry a Mosca. Kerry è l’uomo che Biden ha scelto per affrontare le sfide poste dal cambiamento climatico e in questa veste è volato nella capitale russa.
Ma Kerry è un Inviato molto speciale, dal momento che si tratta di un politico più che navigato, avendo ricoperto il ruolo di Segretario di Stato durante la presidenza Obama, ruolo nel quale si è trovato a gestire la guerra siriana – sua la mezza gaffe che ha favorito la risoluzione della crisi più acuta del conflitto (1) – e soprattutto l’accordo sul nucleare iraniano, del quale è stato tenace tessitore.
Non per nulla una figura tanto marginale dell’amministrazione Usa – in genere obliata dai media – è stata ricevuta al Cremlino, dove ha incontrato Putin, cosa che il protocollo riserva in genere ai pari grado. Di sicuro i due non avranno parlato solo del tempo…
Per contrastare la visita, lo stesso giorno è uscito lo scoop del Guardian, che, riportando asseriti documenti riservati del Cremlino, ha rivelato che Putin avrebbe dato ordine ai suoi di favorire la corsa presidenziale di Trump nel 2016.
Scoop stantio, che ricicla in altra modalità l’abusato refrain del Russiagate, smentito in tutte le salse ma tenuto sempre vivo e buono per intorbidire le acque. Scoop che doveva servire, com’è accaduto, per oscurare la stretta di mano tra Putin e Kerry, suggello della prospettiva iniziata a Ginevra.
Il punto è che la guerra segreta che attraversa il mondo non si gioca tanto nel confronto tra Est e Ovest, ma in Occidente, dove i vari e variegati ambiti che reputano sia giunto il momento di accettare un mondo multipolare, rimettendo le pistole nelle fondine, incontrano il feroce contrasto dei potenti circoli che hanno lucrato sulle guerre infinite e non intendono mollare l’immenso potere conseguito in questi anni.
Simboliche, in tal senso, le dimissioni del generale Austin ‘Scott’ Miller, comandante in capo della missione Usa in Afghanistan, che con questo gesto ha suggellato la fine dell’intervento americano a Kabul. Altro segnale che la prospettiva di chiudere le guerre infinite nonostante tutto, ha certo fondamento.
(1) Dopo la strage di Goutha causata dall’utilizzo di armi chimiche, attribuita ad Assad (con attribuzione indebita), Obama, il quale aveva dichiarato che l’utilizzo di tali ordigni avrebbe comportato l’intervento Usa, si ritrovò costretto a dar seguito alle promesse.
In attesa di un voto del Congresso sulla guerra, chiesto da Obama anche per prendere tempo, iniziarono le grandi manovre per tentare di evitarla e, nella temperie, i russi dichiararono che Assad era pronto a eliminare tutto l’arsenale chimico siriano.
In una conferenza stampa successiva, a Kerry fu chiesto se tale passo avrebbe evitato l’intervento Usa. Domanda confusa tra altre, meno confusa la risposta che fu: sì, certamente. E la guerra fu evitata (grazie però al decisivo voto contrario del Parlamento britannico).