L'attacco alla petroliera e il nucleare iraniano
Tempo di lettura: 3 minutiUna nave giapponese, la Mercer Street, della Zodiac Maritime, controllata dallo Zodiac Group, di proprietà del miliardario Eyal Ofer, è stata attaccata da alcuni droni nelle acque dell’Oman. Due le vittime: un marinaio romeno e un cittadino britannico.
Israele e Stati Uniti, e successivamente la Gran Bretagna, hanno accusato l’Iran dell’accaduto. L’attacco sarebbe parte di quella guerra segreta tra Iran e Israele che va avanti da oltre due anni, con azioni di sabotaggio via terra e via mare non rivendicate dai contendenti.
La guerra ombra
Una guerra iniziata da Israele, che l’Iran ha deciso di contrastare con la stessa moneta. Così dettaglia il New York Times: “La campagna israeliana, confermata da funzionari americani, israeliani e iraniani, è diventata un fulcro dello sforzo di Israele di frenare l’influenza militare iraniana in Medio Oriente e ostacolare gli sforzi iraniani per eludere le sanzioni americane sulla sua industria petrolifera“ .
Un articolo di Amos Harel, pubblicato su Haaretz, documentava l’efficacia delle operazioni israeliane, che avrebbero danneggiato decine e decine di navi avversarie, causando danni per miliardi di dollari.
Danni che vanno ad aggiungersi a quelli provocati dai sabotaggi in terra nemica, culminati col rischioso attacco alla centrale nucleare di Natanz, che poteva provocare incidenti radioattivi.
Questo il quadro nel quale si colloca l’attacco alla petroliera Mercer Street, che però ha provocato vittime, cosa che ha un solo precedente, l’attacco a una petroliera iraniana dell’aprile scorso al largo della Siria, stavolta attribuibile a Israele.
Tre le vittime di quell’attacco, ma erano iraniani e non ha importato nulla a nessuno. Invece, tra le vittime dell’aggressione del 30 luglio, si registra un cittadino britannico, e questo cambia tutto.
In una telefonata col ministro degli Esteri britannico Dominic Raab, il suo omologo israeliano Yair Lapid ha denunciato: “L’Iran non è solo un problema israeliano, ma un esportatore di terrorismo, distruzione e instabilità che danneggia tutti noi. Il mondo non deve tacere di fronte al terrorismo iraniano che danneggia anche la libertà di navigazione” (Guardian).
Al solito, le accuse si basano su prove raccolte dell’intelligence, che non vengono esibite al pubblico, il quale è chiamato a credervi per pura fede, nonostante sia ovvia, e anche legittima, la parzialità della fonte.
Perplessità e prospettive
Teheran, in genere silente su accuse analoghe, come d’altronde Israele – ché il silenzio, nel caso specifico, è d’oro, perché parte di quella strategia dell’ambiguità che ha evitato il tacimare del conflitto ,- stavolta ha respinto ogni addebito, accusando l’antagonista di fabbricare “false accuse” contro di essa.
Non abbiamo nessun elemento a favore di una tesi o di un’altra, ma non possiamo non notare che l’attacco avviene in un momento particolarmente critico, quando il presidente iraniano Hassan Rouhani si avvia a lasciare la carica al successore Raisi.
Un passaggio di consegne che avverrà a fine settimana che sbloccherà le trattative sul nucleare iraniano, che Teheran aveva congelato per chiudere l’accordo con la nuova reggenza. L’attacco complica tale sviluppo, anzi rischia di farlo saltare.
Se si tiene conto che Teheran punta tutto sull’esito positivo di tale negoziato, che ridarebbe ossigeno alla sua economia esausta, le perplessità sull’attacco sono inevitabili.
La tempistica dell’attacco presenta un’altra criticità, dato che sembra improbabile che un governo ormai finito ordini operazioni di tale rilevanza. Ad aumentare i dubbi il fatto che la nave aggredita fosse “senza carico”, come dettaglia l’articolo del Guardian citato, cosa ovviamente sciocca: se si vuol far danni a un avversario non si aspetta che scarichi la merce.
Al di là di tali perplessità del caso, va registrato che l’attacco fa oggettivamente il gioco di Israele, evidenziando una strategia suicida da parte di Teheran o altro.
Infatti, Tel Aviv in questi ultimi tempi ha subito contraccolpi diplomatici alquanto duri: anzitutto per lo scandalo della diffusione di un programma di spyware a regimi autoritari da parte di una delle sue aziende Hig Tech più importanti, la Nso; inoltre la controversia nata dalla decisione dell’azienda di gelati Ben & Jerry’s di non vendere più i suoi prodotti in Cisgiordania, controversia che ha riportato in auge la questione palestinese, con rinnovate accuse di apartheid contro Israele.
Ultimo, ma non ultimo, l’asserita eliminazione di una cellula del Mossad infiltrata a Teheran con la missione di alimentare scontri armati nel Paese rivale cavalcando l’onda di alcune proteste popolari registrate nella provincia del Khuzestan, causate dalla scarsità d’acqua e di energia (Timesofisrael). Una vicenda, quest’ultima, ovviamente non confermata da Tel Aviv, ma neanche smentita, come d’uso in queste circostanze.
Al netto di tante possibili considerazioni, l’attacco alla Mercer Street ha oggettivamente offerto a Israele un’occasione d’oro di uscire dall’angolo delle accuse incrociate generate dalle vicende di cui sopra e di rilanciare nelle Cancellerie occidentali la sua immagine e la sua narrativa anti-iraniana.
Al netto di perplessità e considerazioni a latere, si spera che quanto avvenuto non faccia svaporare le prospettive nate nell’ambito del negoziato sul nucleare iraniano. Sarebbe una tragedia per tutti, Israele compresa.