Afghanistan: o i talebani o l'Isis
Tempo di lettura: 3 minutiL’Isis ha rivendicato sei attentati avvenuti in Afghanistan tra sabato e domenica, che avrebbero causato 35 morti e diversi feriti nella provincia di Jalalabad. Accadute lontane dai riflettori accesi sul Paese durante il ritiro degli americani, le stragi hanno fatto poca notizia, nulla importando gli afghani uccisi in tali circostanze.
Val la pena annotare come l’avversione dell’Occidente verso il nuovo governo di Kabul corra in parallelo con quella dello Stato islamico, replicando una dinamica che in questi anni si è registrata in altri Paesi arabi.
Così in Siria, contro Assad, così in Yemen, contro gli Houti, così in Iraq, contro gli sciiti, così in Iran, Paesi dove l’Isis ha combattuto e combatte contro i nemici dell’Occidente in una convergenza parallela che interpella.
I talebani, argine al Terrore
Al di là delle domande sul tema, tale attentato palesa una verità scomoda per la narrativa dominante: i talebani, per quanto rozzi e beceri li si possa considerare, rappresentano un argine al Terrore.
Se cadono, come auspicato da certi ambiti internazionali d’Occidente che non si rassegnano al ritiro Usa, non c’è alternativa al dilagare del terrorismo nel Paese. In tale caos la discriminazione verso le donne e l’autoritarismo attuale, lamentati dai media nostrani, sembrerebbero, al confronto, una sorta di paradiso terrestre.
Ne scriviamo non perché riteniamo del tutto illegittime le richieste in tal senso avanzate dall’Occidente – peraltro condivise anche da Russia e Iran -, quanto per evidenziare che esse non dovrebbero essere brandite, come si fa attualmente, solo per dar conto della ferocia dei talebani (vera o asserita che sia) e porre criticità al loro governo.
Tali richieste, infatti, più che mero oggetto di denuncia, dovrebbero esser avanzate nelle sedi appropriate e nell’ambito di un dialogo tra la comunità internazionale e il governo afghano. Un dialogo che, per avere chances di successo, deve includere anche Mosca e Pechino: cosa finora evitata per l’avversità degli Usa a tale inclusione (a proposito di inclusività…).
Inoltre, tali richieste, per non apparire strumentali, dovrebbero essere commisurate: non si può, ad esempio, chiedere ai talebani di essere più “aperti” dell’Arabia Saudita solo perché quest’ultima condivide con l’Occidente petrolio e circuiti finanziari.
Si può continuare a coltivare oppio?
Peraltro, si resta molto interdetti nel constatare che tra le richieste avanzate dall’Occidente a Kabul non si includa l’eradicazione dell’oppio, del quale il Paese produce più dell’80% del totale mondiale.
Tale possibilità non è mai stata neanche ventilata, nonostante non sia affatto irrealistica: quando i talebani presero per la prima volta il potere, l’Onu vincolò i suoi aiuti proprio all’eliminazione del papavero da oppio.
Condizione accolta e attuata, tanto che la nefasta pianta nel giro di due anni fu praticamente eliminata (con produzione ripresa dopo l’intervento Usa).
Peraltro, e per inciso, si può annotare che con la chiusura dei canali di finanziamento diretti all’Afghanistan – cosa avvenuta dopo il ritiro degli americani – il governo di Kabul potrebbe essere costretto a ricorrere proprio ai proventi dell’oppio per sopravvivere, pena il collasso del sistema (e il tragico caos di cui sopra).
Infatti al momento non ha fonti di finanziamento adeguate a sostenersi, stante che gli aiuti dell’Onu, che si è impegnata a inviare un miliardo di dollari, saranno diretti solo a sfamare la popolazione civile (e meno male che c’è l’Onu) e non potranno essere utilizzati dalle autorità.
Insomma, la rigidità dell’Occidente rischia di alimentare il narcotraffico mondiale, con tutte le conseguenze del caso…
L’errore di valutazione
Tornando alle stragi, tema iniziale della nota, val la pena registrare che, alla fine, e dopo vari dinieghi, l’esercito degli Stati Uniti ha ammesso che il missile sparato a Kabul dopo l’attentato all’aeroporto del 26 agosto, diretto contro una cellula dell’Isis pronta a colpire di nuovo, ha ucciso invece dieci innocenti tra cui tanti bambini.
Un errore del quale l’esercito si è scusato, come d’uso in casi del genere, e risarcirà i parenti delle vittime con qualche dollaro e tutto sarà dimenticato in fretta. Nessuno pagherà per quella strage.
Nessuno pagherà neanche per aver tentato di convincere il mondo che l’operazione aveva eliminato una pericolosa cellula dell’Isis, prima con un comunicato in cui si dichiarava che l’attacco preventivo era perfettamente riuscito, poi con uno più elaborato, in cui si ammetteva che c’erano state vittime civili, ma si spiegava che erano state causate non dall’esplosione del missile Usa, ma da quella dell’esplosivo trasportato dagli attentatori.
Comunicato quest’ultimo, elaborato dai sofisticati spin doctor dell’esercito Usa quando ormai tutti i giornalisti del mondo, presenti a Kabul per documentare il ritiro Usa, avevano dato conto delle vittime civili, neanche menzionate nel primo comunicato.
Una storia che racconta in maniera icastica quanto si è consumato in Afghanistan durante la lunga occupazione americana. Anni che non interessano più a nessuno, dato che ora il focus è sui talebani, che però interessano tanto gli afghani, quelli dei quali l’Occidente si dice preoccupato.