La morte di Colin Powell
Tempo di lettura: 4 minutiIeri è morto Colin Powell, deceduto di Covid-19 nonostante fosse vaccinato. Ma non interessa qui interpellarsi sull’efficacia dei vaccini, dato che la prova della loro efficacia, benché probabilmente meno di quanto ci hanno detto, è data dal calo dei contagi italiani, ma sull’uomo passato alla storia per aver trascinato il mondo nella guerra irachena con la bufala delle inesistenti armi di distruzione di massa di Saddam Hussein.
Il mondo, non solo gli Stati Uniti, perché quella guerra infame (ci si perdoni il termine, ma è il meno duro che ci viene in mente) non solo ha devastato un Paese prospero – pur se ristretto nella morsa del rais -, ma ha anche fatto dilagare il terrorismo internazionale, come acclarato in maniera inequivocabile dalla Commissione Chilcot, la commissione d’inchiesta istituita in seno al Parlamento britannico.
Non è certo per caso che l’Isis è nato in Iraq in quel tormentato dopoguerra. Così quel conflitto ha prodotto la strage del Bataclan, quella di Manchester e tanto, tanto altro.
Per questo si resta perplessi, ma anche no, dalle parole di Biden, che ha ricordato il primo generale nero della storia americana come “caro amico” e “patriota”. Ma d’altronde anche Biden votò a favore di quella guerra e amici lo erano davvero.
Nel tracciarne un ricordo Scott Ritter, ex ufficiale dell’intelligence del corpo dei marines, ricorda che Powell ebbe un ruolo di primo piano nella distensione internazionale che fiorì al tempo in cui Reagan intraprese un dialogo fecondo con Gorbacev, e che, nonostante fosse un soldato tutto d’un pezzo, Powell era un guerriero riluttante.
La guerra umanitaria
È noto che il suo show alle Nazioni Unite, dove mostrò le “prove” delle armi di distruzioni di massa di Saddam, non era farina del suo sacco, ma basato su falsi rapporti della Cia.
Rapporti ai quali si sommavano le pressioni dei neocon, che avevano preso in mano tutte le leve del potere, e l’esplicita richiesta del suo presidente, che non ebbe il coraggio di contraddire, come scrive The Intercept, dimostrando di non avere la dote che più richiede l’esercito a un soldato, il coraggio (come quello dimostrato, ad esempio, dall’ufficiale israeliano Avner Wishnitzer, la cui storia è raccontata in nota alla quale rimandiamo).
Powell, come Biden, ebbe poi modo di dire di aver sbagliato, come accade spesso ai politici americani in questi casi. Sempre per restare sull’Iraq, clamoroso fu anche il dietrofront dell’ex Segretario di Stato Madeleine Albright, alla quale fu chiesto conto del fatto che le sanzioni emanate dagli Usa contro l’Iraq dopo la prima guerra del Golfo avevano ucciso 500mila bambini: “ne valeva la pena“, aveva risposto al suo basito interlocutore, accorgendosi solo dopo il profluvio di critiche dell’atrocità della risposta.
Così la morte di Powell, più che far tornare a galla l’orrore di quella guerra, fa emergere ancora una volta l’irresponsabilità di tanti politici dell’Impero, il quale è sempre pronto a perdonare gli errori dei suoi comandanti, politici e militari.
Ciò gli permette di non dover fare ammenda delle iniziative, ricomprendole nel suo seno e, di fatto, legittimando anche quelle più palesemente sbagliate, derubricate a semplici incidenti di percorso di una storia che vede gli Stati Uniti sempre e comunque dalla parte dei buoni.
Ciò permette all’Impero di evitare processi di riforma e di continuare a spandere nel mondo la sua immagine di faro di civiltà e libertà. Evitando anche che tali errori possano porre criticità a iniziative presenti, la cui dinamiche essenziali ricalcano quelle del passato.
L’occupazione umanitaria dell’Iraq
Il caso Iraq è eclatante in tal senso, dal momento che quell’errore non fu solo foriero di una guerra sanguinaria spacciata per umanitaria, ma ha legittimato la presenza dell’esercito americano in quel lontano Paese fino a oggi.
E come quella guerra fu umanitaria, anche il protrarsi dell’occupazione militare americana si è basato su ragioni umanitarie, dovendo quella presenza militare, a detta dei suoi propugnatori, evitare che il Paese sprofondasse nel caos e garantire la nascita di una democrazia irachena,
Il caos non è stato affatto evitato, anzi, per decenni ha infuriato una guerra tra sunniti e sciiti, con attentati terroristici quotidiani, terminata solo alcuni anni fa. Detto questo, proprio quella democrazia parlamentare che gli Usa dicono di aver fatto nascere, gli ha chiesto di andarsene con voto unanime del Parlamento, inutilmente.
Così l’errore sulle armi di distruzione di massa di Saddam non ha portato gli Usa a essere quantomeno più prudenti nel valutare le identiche accuse mosse contro Assad, che avrebbe usato armi chimiche contro i cosiddetti ribelli moderati, con accuse del tutto infondate.
Solo se e quando Assad sarà rimosso o il regime-change siriano archiviato (oggi è solo sospeso), si potrà, forse, vedere l’ammissione da parte degli Stati Uniti di incidenti di percorso analoghi a quelli iracheni.
Così in questa esaltazione di Colin Powell, il grande patriota che commise un “errore”, sta tutta la supponenza della nazione che si crede “indispensabile” al mondo, come ribadiva alcuni giorni fa l’ex diplomatico Usa David Robinson (The Hill). E sta la sua incapacità di riformarsi.
Detto questo, almeno Powell e Biden, e altri con loro, hanno ammesso l’errore e quest’ultimo sta anche provando a porre un freno certe derive. I neocon e i liberal, che furono e sono il motore immobile di questa politica muscolare, continuano a rivendicare la legittimità di quelle iniziative, con la stolidità propria dei deliri di onnipotenza.