Guerra in Yemen: 10mila bambini uccisi o mutilati
Tempo di lettura: 4 minuti“Una vergognosa pietra miliare è stata aggiunta al conflitto in Yemen” ha dichiarato il portavoce dell’Unicef James Elder al momento di rendere pubblico il nuovo rendiconto della guerra che vi imperversa, che ha ucciso o mutilato finora 10mila bambini.
“Lo Yemen è il posto più difficile al mondo in cui essere un bambino. E, incredibilmente, sta peggiorando”, ha aggiunto.
Infatti, i fanciulli non devono solo evitare bombe a proiettili. In questa guerra criminale si muore anche di malattia e di fame. L’Agenzia delle nazioni unite dedicata all’infanzia ha infatti dettagliato che più di 11 milioni di bambini (quattro su cinque) hanno bisogno di assistenza umanitaria e, di questi, circa 400.000 soffrono di malnutrizione acuta grave, mentre più di due milioni non vanno a scuola.
E ancora: 1,7 milioni di bambini sono sfollati interni, vivono cioè in abitazioni improvvisate, spesso tendoni, e 15 milioni di persone (più della metà delle quali sono bambini) non hanno accesso all’acqua potabile, ai servizi igienici e vivono in condizioni igieniche degradate.
Gli Usa e e gli “elicotteri d’attacco” difensivi
Comunicati del genere si susseguono da anni, e da anni la crisi umanitaria dello Yemen è classificata come la “peggiore al mondo”. E da anni il mondo ascolta distrattamente questi allarmi, dato che i media mainstream dedicano a questa tragedia qualche riga ogni tanto, con articoli in genere nascosti.
È un tema da gestire con cura la guerre yemenita, dato che a bombardare sono i sauditi, stretti alleati dell’Occidente, colonna portante dell’asse anti-Iran in Medio oriente e Paese indispensabile per il petrolio. Tant’è.
L’amministrazione Biden, al suo esordio, si era pronunciata con fermezza su tale crisi, annunciando solennemente la fine del sostegno americano nelle operazioni offensive in Yemen. Una determinazione che ha ottenuto pieno sostegno nel Congresso, ma che resta ambigua, essendo rimasta in piedi la partnership con i sauditi riguardo la difesa.
Ciò implica un coordinamento di intelligence e militare dai contorni più che indefiniti, dal momento che in una guerra è difficile stabilire con chiarezza i confini tra operazioni offensive e difensive.
Lo dimostra, solo per fare un piccolo esempio, quanto avvenuto a inizi settembre, quando l’amministrazione Usa ha notificato al Congresso di aver dato seguito a una vendita di armamenti ai sauditi per un totale di 500 milioni di dollari.
In particolare, la notifica riguarda la vendita di servizi di manutenzione di hardware per gli “elicotteri d’attacco di fabbricazione statunitense già di proprietà del regno” (The National News).
Una misura giustificata dalla necessità di rendere l’esercito saudita in grado di difendersi in caso di attacco, ma si può facilmente immaginare dove siano impiegati questi elicotteri d’attacco, dato che Riad non ha altre guerre aperte in corso se non quella yemenita. Tale l’ipocrisia dei signori della guerra.
La guerra al Terrore dirottata
Detto questo, a fronte dell’attivismo di tali ambiti guerrafondai, per i quali la guerra è solo un proficuo business, sembra che l’amministrazione Biden stia cercando in qualche modo di fare qualcosa, lavorando sottotraccia, purtroppo, dato che le accuse incrociate derivanti dal ritiro afghano l’hanno costretta a rivedere al ribasso i piani per porre fine alle guerre infinite, alle quali appartiene di diritto il conflitto yemenita, dato che gli Usa vi si erano impegnati ufficialmente per contrastare la minaccia delle cellule terroriste che agivano in Yemen.
Su Reveal si può leggere l’interessante, e dettagliata, storia di come gli Stati Uniti fossero consapevoli del fatto che il governo yemenita, al tempo, avesse “dirottato” la missione anti-terrorismo americana per combattere i ribelli Houti, cosa che, in fondo, da allora non è poi cambiata di tanto, al di là dei distinguo.
Tornando all’impegno di Biden, da registrare la recente visita del ministro degli Esteri saudita, il principe Faisal bin Farhan, negli Stati Uniti, dove ha incontrato il Capo del Dipartimento di Stato Anthony Blinken. In agenda, Iran e guerra in Yemen.
In parallelo a questa visita, la nota del Washington Post sul negoziato che si è instaurato tra Teheran e Riad, che è serio, come da dichiarazioni di entrambe le parti, e che si sta sviluppando in una serie di incontri ad alto livello. Significativo il titolo del WP: “Arabia Saudita e Iran faranno pace sullo Yemen?”.
Dietro la nuova propensione al dialogo di Riad vi è una chiara spinta dell’amministrazione Biden, che non può imporre, data la debolezza interna,, ma può far pressioni per chiudere un conflitto che la mette in serio imbarazzo dovendo proporsi al mondo come difensori dei diritti umani.
I sauditi nel pallone
In attesa che il punto di domanda del Washington Post diventi punto esclamativo, c’è da registrare l’attivismo di Riad nell’ambito sportivo: di queste settimane l’annuncio che il Fondo per gli investimenti pubblici ha acquistato il Newcastle e ha avviato una trattativa per l’acquisto dell’Inter.
Una mossa che ha visto le squadre della Premier League insorgere, imponendo una regola che impedisce a una squadra di acquisire pubblicità da aziende legate al padrone, e poche contrarietà in Italia. D’altronde, pecunia non olet né è un male che il calcio attiri investitori, anzi.
Il problema è che tale attivismo non sembra affatto casuale: l’immagine dell’Arabia Saudita si è alquanto offuscata negli ultimi anni, sia per il conflitto in Yemen, sia soprattutto per l’omicidio del giornalista dissidente Jamal Khashoggi, attribuito a Riad (tale assassinio ha fatto più clamore dell’uccisione di migliaia di bambini yemeniti…).
Da qui la necessità per i sauditi di dare un ritocco alla loro immagine investendo nello sport più partecipato d’Europa. Calcolo non del tutto errato, considerando poi che il calcio è un sistema del quale partecipano i media, che attingeranno a cascata di tali investimenti. E ciò gli guadagnerà ulteriori simpatie.
In attesa del fischio d’inizio delle nuove partite, si spera che finalmente giunga il fischio finale per il conflitto yemenita. Da qualche tempo, anche i sauditi vorrebbero uscirne, dato il danno di immagine che gli procura e l’impossibilità di conseguire la vittoria.
Ma a dettar legge è la Macchina della guerra alla quale si sono consegnati all’inizio di questa brutta storia e che li ha resi schiavi. Una Macchina che può essere inceppata solo a Washington, da cui l’importanza del lavoro – seppur ambiguo, timido e sottotraccia – dell’amministrazione americana.
Ps. Di oggi la notizia che la polizia tedesca ha arrestato due persone, Achim A. e Arend-Adolf G (nome appropriato) per aver tentato di costituire una milizia mercenaria da porre al servizio dei sauditi, consapevoli che avrebbero commesso “omicidi” e che le loro azioni avrebbero comportato che “civili venissero uccisi e feriti” (generalbundesanwalt).
I sauditi avrebbero rifiutato l’offerta, ma che esistano milizie simili attive in questa sporca guerra lo ha rivelato il New York Times, con un articolo sul reclutamento di mercenari colombiani da parte degli Emirati arabi uniti.