11 Novembre 2021

Afghanistan: summit di russi, cinesi e americani in Pakistan

Afghanistan: summit di russi, cinesi e americani in Pakistan
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Il Pakistan ha ospitato a Islamabad delegazioni di alto livello provenienti da Stati Uniti, Cina e Russia per discutere della situazione dell’Afghanistan. Un’iniziativa inusuale, poco pubblicizzata, ma quanto mai opportuna (vedi al Jazeera).

A inizi lavori, il ministro degli Esteri pakistano Shah Mahmood Qureshi ha avvertito che il Paese è “al collasso”, dal momento che i suoi beni all’estero sono stati congelati.

Si può aggiungere che delle tante donazioni promesse volte a rassicurare un aiuto umanitario alla popolazione stremata è arrivato pochino (peraltro il governo precedente ha svuotato le casse della banca centrale).

Così il popolo afghano è prossimo alla fame, lo Stato ha difficoltà a pagare gli stipendi e rischia di sfaldarsi, favorendo il dilagare del Terrore dell’Isis-k nel Paese e, successivamente, nel mondo (funziona così, quando questo dilaga).

Nelle stesse ore in cui si stava svolgendo l’incontro, a Islamabad era presente anche il ministro degli Esteri afghano Amir Khan Muttaqi, che se anche ufficialmente non era partecipe del summit, avrà comunque tenuto colloqui con i convenuti.

Ad oggi i talebani stanno riuscendo a contenere l’Isis. “In diverse parti del Paese, sono stati arrestati quasi 600 membri di Daesh coinvolti in atti sovversivi e omicidi”, ha recentemente affermato Khalil Hamraz, portavoce del dipartimento di intelligence, parlando con i giornalisti nel centro informazioni e media del governo. “Tra questi ci sono alcuni membri di spicco. Sono tutti finiti in carcere».

Un risultato non da poco, e che sembra confermato dalla difficoltà con cui l’Isis ha messo a segno i suoi attacchi: da quando il governo è passato ai talebani si sono registrati solo tre attentati significativi dell’Agenzia del Terrore, con una riduzione rispetto ai tempi della macelleria che si registrava durante l’intervento americano.

Da questi attacchi abbiamo cassato quello all’aeroporto di Kabul, perché messo a segno nel momento di transizione tra la fine dell’intervento Usa e la presa del potere da parte dei talebani.

Se si ricorda, a quell’immane carneficina seguì, il giorno dopo, un’operazione anti-terrorismo da parte degli Stati Uniti, con un drone che che sbagliò bersaglio, uccidendo 10 civili innocenti, tra cui quali sette bambini.

Dopo aver dichiarato distrutta una cellula terroristica, e dopo aver fatto retromarcia a seguito di un’inchiesta giornalistica che smentiva quella ricostruzione, il Pentagono ha avviato un’indagine conoscitiva sui fatti, concludendo che non c’è stato alcuna responsabilità per l’errore.

Si va ovviamente sulla fiducia, dato che si è trattato di un’inchiesta interna, senza alcun rappresentate terzo che potesse verificare i fatti, controllare e tantomeno giudicare. Peraltro va ricordato come in un primo tempo, e per qualche giorno, i responsabili dell’esercito tentarono di coprire l’imbarazzante accaduto.

Un altro indizio della necessità che le truppe Usa tornassero a casa. Errori ed orrori del genere, purtroppo, sono stati troppi nei lunghi anni dell’intervento. Al di là del tragico particolare, si spera che l’incontro pakistano possa portare qualche frutto. La martoriata popolazione afghana attende da troppo tempo gli aiuti umanitari che gli permettano la sopravvivenza.