Nucleare Iran: l'intelligence e la Difesa israeliana vogliono l'accordo
Tempo di lettura: 3 minutiLa rescissione dell’accordo sul nucleare iraniano è stata una catastrofe. A esprimere questo giudizio non sono i fan di Obama o gli iraniani, ma l’establishment che al tempo in cui Trump prese tale decisione guidava l’esercito e l’intelligence di Israele, allora governato da Benjamin Netanyahu.
A mettere in fila le recenti dichiarazioni dei vertici della Difesa israeliani è Amir Tibon, su Haaretz, in un articolo di grande interesse.
Tibon ricorda come la decisione di Trump fu forzata da un’operazione segreta israeliana: una squadra del Mossad infiltrata in Iran trafugò dei documenti segreti che il premier israeliano utilizzò per denunciare al mondo come Teheran stesse segretamente lavorando alla creazione di una bomba atomica.
Una denuncia che Trump non poteva ignorare, anche a causa della pressione in tal senso che subiva da parte dei neocon (il Consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton si è vantato pubblicamente di aver convinto-costretto il presidente prendere quella decisione).
E ciò nulla importando, si potrebbe aggiungere, il fatto che l’Agenzia internazionale per l’energia atomica negasse che l’Iran stesse arricchendo il proprio uranio in maniera significativa e fosse anzi conforme agli accordi stipulati.
La decisione di Trump, ricorda Tibon, fu propagandata da Netanyahu come una grande vittoria di Israele e sua personale e come tale fu salutata dai media israeliani.
Tobin riferisce che, in una recente conferenza, l’allora capo del Mossad, Yossi Cohen (che diresse quell’operazione segreta), ha ammesso pubblicamente che stracciare l’accordo sul nucleare non solo non ha bloccato l’arricchimento di uranio da parte dell’Iran, ma ha anzi prodotto l’effetto opposto.
Nello stessa conferenza, continua Tobin, ha parlato anche “l’ex ministro della Difesa Moshe Ya’alon, che, quando era in carica, si era fortemente opposto alla firma dell’accordo sul nucleare”.
“Tuttavia, in un’intervista con l’analista di Haaretz Anshel Pfeffer, Ya’alon ha affermato che per quanto l’accordo fosse pessimo, la decisione di Trump di ritirarsi da questo – spinto da Netanyahu – è stata anche peggiore. Lo ha definito ‘il più grande errore dell’ultimo decennio‘ nell’ambito delle decisioni politiche riguardanti l’Iran”.
“Due giorni dopo – prosegue Tibon – l’ex capo di Stato maggiore dell’IDF [Israel Defence Force], il tenente generale (in pensione) Gadi Eisenkot, ha inviato un messaggio simile” in un’altra conferenza.
“Il ritiro americano dall’accordo, ha detto l’uomo che comandava l’esercito israeliano quando è stata presa questa decisione, è stato un netto negativo per Israele: ha liberato l’Iran da tutte le restrizioni e ha portato il suo programma nucleare a una posizione molto più avanzata”.
Tobin ricorda come anche al tempo di tale svolta c’erano remore nella Difesa israeliana, infatti “l’establishment della sicurezza e dell’intelligence, dopo tutto, ha sempre avuto una visione sfumata e ambivalente dell’accordo con l’Iran, libera dalle visioni apocalittiche di Netanyahu. Lo vedevano come un accordo problematico e pieno di buchi, ma comunque molto meglio dell’anarchia, che è ciò che la nuova politica di Trump ha creato”.
Ma la propaganda batteva forte: il ritiro dall’accordo veniva celebrato come una vittoria storica di Israele e una garanzia della sua sicurezza. Eppure, anche “a quel tempo, alcuni funzionari israeliani avevano iniziato a dire l’ovvio: cioè che la celebrazione di Netanyahu del ritiro di Trump dall’accordo era prematura, una versione israeliana del famoso discorso sulla ‘missione compiuta’ di George W. Bush nelle prime fasi della guerra in Iraq”.
Conclude Tobin: “ci sono voluti altri due anni, tuttavia, perché gli uomini che lavoravano a stretto contatto con Netanyahu in quei momenti critici – il suo ex capo del Mossad, il ministro della Difesa e il più alto generale – riconoscessero pubblicamente che era tutta una grande menzogna”.
Tobin si augura che tale disvelamento possa avere una qualche cassa di risonanza in Israele, dove ancora la “grande menzogna” risulta vincente, con riverberi anche sulla stampa internazionale. Ma è un augurio, nulla più, dato che il vento contrario a un ripristino di quell’accordo è forte.
Il 29 novembre, a Vienna, riprendono i negoziati tra Iran e Stati Uniti per un eventuale ritorno allo status quo pre-Trump. In un’altra nota abbiamo riferito di come finora Washington abbia approcciato il dialogo con un’esasperante ambiguità, evitando di dare le pur minime garanzie ai suoi interlocutori e vanificando ogni possibilità di intesa. Vedremo.