23 Febbraio 2022

L'Ucraina e l'ordine mondiale post '89

L'Ucraina e l'ordine mondiale post '89
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Il presidente Clinton saluta le truppe alla base dell’aeronautica militare di Tuzla in Bosnia, il 22 dicembre 1997 (Credit: William J. Clinton Presidential Library)

Mentre iniziano a fioccare le sanzioni contro la Russia, che di fatto sono contro Germania, Francia e Italia, val la pena leggere un interessante articolo di Sarang Shidore su Responsible Statecraft, il quale ricorda come la “palese violazione del diritto interazionale” di Mosca, così il segretario di Stato Antony Blinken, abbia un precedente, avvenuto peraltro quando egli era già in forza al Dipartimento di Stato, cioè la dichiarazione di indipendenza del Kosovo.

Violazione seguita dal consenso Usa “all’operazione Tempesta”, avviata dal premier croato Franjo Tudjman in Krajina, una pulizia etnica che ha riguardato “centinaia di migliaia di serbi dalla regione”. Ed altre ancora, nell’ex Jugoslavia e nel mondo.

Così regole e principi hanno un valore relativo, ché “si tratta di potere, non di principi”. Sul punto basta guardare la guerra in Yemen, ad oggi costata la vita a 750mila bambini, di cui non importa a nessuno.

Aldilà delle mutevoli applicazioni del diritto internazionale, resta la crisi ucraina come potenziale scintilla di un nuovo grande conflitto. Se scoppierà o meno è tutto da vedere, ma ad oggi la paventata presa di Kiev da parte dei russi resta una boutade.

Ne scrive Aleksandr Baunov sul Carnegie Moscow Center, il quale annota come “il Cremlino ha visto la lezione dell’Afghanistan e dell’Iraq: anche se l’esercito di un avversario può essere sconfitto, questo non garantisce il controllo del Paese”.

L’inutile esercizio di Putin

Baunov annota anche come la dichiarazione di indipendenza delle due regioni ucraine è qualcosa di apparentemente inutile, dal momento che essa era nei fatti.

Allora perché Putin si è prodotto in questo inutile esercizio? Due gli obiettivi: il primo, regionale, portare a compimento la federalizzazione dell’Ucraina, che era parte dell’accordo di Minsk; il secondo, globale, cioè porre “fine alla percezione della Russia come il paese che perso la Guerra Fredda”.

Per quest’ultimo motivo aveva avviato un’interlocuzione con l’America, che però era stata vanificata. Non solo per le risposte elusive degli Usa, ma più concretamente con il regime-change in Kazakistan, cioè nello spazio ex sovietico, avviato in occasione del primo round di colloqui Russia – Nato, e che serviva a palesare chi fosse il vero padrone del mondo. Il fallimento del golpe ha dimostrato, al contrario, che la Russia aveva una sua consistenza.

Così torniamo alla federalizzazione dell’Ucraina, obiettivo dell’accordo di Minsk che aveva chiuso il conflitto intra-ucraino, il quale, assicurando l’autonomia del Donbass, garantiva una profondità strategica alla Russia, cioè allontanava le forze ostili dai suoi confini e probabilmente avrebbe tenuto Kiev fuori dalla Nato.

L’accordo di Minsk non è andato in porto sia per l’avversione di Kiev sia perché sabotato da Germania e Francia, almeno di questo è convinta Mosca, avendo recentemente pubblicato documenti riservati che evidenzierebbero tale azione.

Putin non poteva ritirarsi a mani vuote

Dopo tanto sfoggio diplomatico e muscolare, scrive Baunov, Putin non aveva raccolto nulla e “ritirarsi a mani vuote sarebbe stato disastroso per il prestigio del Cremlino e per l’apparato militare e diplomatico del Paese”.

“La Russia aveva tre opzioni: spingere Kiev al federalismo attraverso l’attuazione degli accordi di Minsk, spingere l’Occidente a porre fine all’espansione della NATO e riconoscere le repubbliche del Donbass. Non essendo riuscita a raggiungere i due obiettivi principali, la Russia ha fatto ricorso alla terza opzione”.

Tale iniziativa, peraltro, “potrebbe essere proprio la ‘risposta tecnico-militare’ che Mosca ha minacciato se l’Occidente avesse rifiutato le sue richieste relative alla sicurezza”.

Continua Baunov: “In una risposta speculare alla NATO, che ha spostato la sua infrastruttura militare vicino ai confini della Russia, la Russia sta spostando la propria verso Kiev e la NATO. Il principio che una potenza che cerca l’uguaglianza si comporterà come le potenze con cui lotta per l’uguaglianza è una delle motivazioni e delle spiegazioni chiave delle azioni della Russia“.

Con la sua iniziativa, Putin ha dimostrato che la Nato non è disposta a mandare i suoi soldati a morire per Kiev, che la Russia non è disposta a subire passivamente minacce alla sua sfera esistenziale e che le risposte che può produrre la controparte sono limitate (cioè le sanzioni) e gestibili da Mosca, mentre meno gestibili saranno per l’Ucraina, che, anche se verrà aiutata economicamente dall’Occidente, rischia il collasso a causa dell’allontanamento degli investimenti.

Rimodulare l’ordine internazionale

Dopo tale prova di forza, sembrerebbe che il primo obiettivo, cioè il ripristino di un accordo globale con gli Stati Uniti sia impossibile. Invece, secondo Baunov è probabile che quanto avvenuto sia un motivo in più per avviare un dialogo, “almeno, è chiaramente ciò su cui conta il Cremlino”.

Certo, la Russia non può assicurare la prosperità ai cittadini dei regimi amici, come promettono gli Stati Uniti (a volte non mantenendo), ma la sicurezza sì, scrive ancora Baunov e questo è importante per tanti di essi (vedi la Stampa: “Festa nelle strade di Donetsk mentre parla Putin”).

Il riconoscimento del Donbass avrà conseguenza anche in patria, dove da tempo i media si occupano delle sofferenze di questi popoli a causa dagli ucraini. Ciò “doveva essere risolto prima del 2024, cioè della fine del mandato di Putin e, ancora una volta, la Russia ha trovato un modo per essere speculare all’Occidente: se l’Occidente ha salvato l’Ucraina dall’aggressione russa, la Russia ha salvato il Donbass dall’aggressione ucraina”.

“Infine”, conclude Paunov, “nonostante le incomprensioni occidentali sul fatto che il presidente russo stia cercando di ricostruire l’Unione Sovietica, una parte importante del suo discorso è stato in realtà critico verso l’Unione Sovietica. Ciò che il suo discorso ha palesato, invece, è che Putin sta di fatto ricostruendo la Russia e l’ordine internazionale secondo le sue idee di giustizia storica e i mutevoli equilibri di potere”.

Al netto dell’inutile retorica pro o contro Putin, il punto è un altro: dalla fine dell’Unione sovietica il mondo è stato dominato da un’unica potenza. Con l’emergere di Cina e Russia o ha successo il loro ridimensionamento o tale ordine va rimodulato, a meno di un impossibile confronto atomico.

Se ciò non avverrà attraverso un negoziato, si produrrà attraverso le prove di forza. D’altronde anche l’attuale ordine mondiale, dalla prima guerra irachena (1990) in poi, è stato forgiato con la forza (le guerre infinite).