Ucraina: cercare un accordo tra Mosca e Kiev
Tempo di lettura: 5 minutiLa terza guerra mondiale è stata evitata, per ora. L’appello del presidente Zelensky di creare una no fly zone sull’Ucraina per contrastare i velivoli russi non è stata accolta né dagli Stati Uniti né dalla Nato.
“In sostanza significherebbe che l’esercito americano starebbe abbattendo aerei russi […] ci metterebbe in una posizione in un conflitto militare con la Russia. È qualcosa che il presidente non vuole fare”, ha affermato la portavoce della Casa Bianca Jen Psaki (MSNBC). Una presa di posizione ribadita dal Segretario generale della Nato Jens Stoltenberg: “Non abbiamo intenzione di trasferirci in Ucraina, né a terra né in aria“.
In realtà, non si tratta solo di evitare di abbattere jet russi, ma di evitare anche il contrario, dal momento che in zona ci sono i micidiali S-400. Che succederebbe se tali sistemi anti-aerei tirassero giù, come inevitabilmente accadrebbe, i jet della Nato? La guerra globale sarebbe inevitabile…
Quello del presidente ucraino non era un flatus vocis, dal momento che ha rilanciato un’idea che sta circolando, espressa esplicitamente dal noto falco repubblicano Adam Kinzinger.
Anche Biden, nel discorso alla nazione, seppur durissimo contro Putin, ha rigettato l’ipotesi “fine del mondo”. Ma il fatto che se ne parli rende evidente la pericolosità del momento, nel quale la realtà sembra essere diventato un particolare secondario.
Luttwak e l’invasione ucraina
Per spiegare questa guerra appare interessante lo scenario descritto da Edward Luttwak in un intervento a Quarta repubblica.
Luttwak, un super-falco Usa, ha ricordato come in passato Putin sia stato un attento calcolatore e abbia fatto guadagni geopolitici territoriali senza sparare un colpo: così in Ossezia del Sud, così in Crimea e altrove. Un attento giocatore di poker che in Ucraina ha iniziato a giocare alla roulette.
Un errore di calcolo, secondo Luttwak, dal momento che immaginava una campagna breve a motivo dell’arrendevolezza dell’esercito ucraino e accolta con favore dalla popolazione.
E però, ha affermato ancora Luttwak, andata a vuoto tale possibilità, si è fermato alle porte delle città perché riluttante a bombardare ad alzo zero: la guerra che sta conducendo, almeno per ora, non si basa sull’escalation – a tale proposito si potrebbe ricordare lo shock and awe (shock e terrore) dell’aggressione Usa in Iraq, basato su un’intenso bombardamento urbano (en passant, Biden votò a favore dell’intervento).
Mosca sta cioè sta dosando la forza per limitare le vittime civili, anche per il contraccolpo che ne avrebbe in patria. Insomma, conclude il falco americano, Putin non vuole l’escalation, che invece starebbe montando l’Occidente.
Il fallimento dell’invasione russa, secondo Luttwak, sarebbe da ricondurre anche alla forza limitata portata sul campo: 140mila uomini, infatti, non sarebbero sufficienti per un’operazione su larga scala (ma ora sono molti di più). Questo fallimento, conclude Luttwak, porterà alla caduta di Putin.
L’ultima affermazione è da verificare, dal momento che Luttwak potrebbe incorrere nello stesso errore che imputa a Putin, proiettando sulla Russia le proprie aspettative, ma resta che l’analisi appare lucida.
Cioè Putin si aspettava una vittoria facile e senza eccessive perdite, né del suo esercito né tra la popolazione civile, in una guerra di brevissima durata. E forse a spiegare quanto avvenuto potrebbe essere lo strano appello che egli ha rivolto all’esercito ucraino, nei primissimi giorni di guerra, affinché prendessero il potere esautorando l’attuale governo.
Un appello strano: queste cose si fanno nel segreto, non si rischia una figura barbina con appelli a vuoto. Allora perché si è esposto?
La spiegazione più banale e che spiegherebbe le tante incongruenze di questa folle aggressione, compresa l’esiguità del contingente inviato in Ucraina, è che ci fosse un accordo sottobanco con qualche esponente dell’esercito ucraino, vanificato oppure gestito abilmente dalla controparte.
Potrebbe, cioè, essersi ripetuto in Ucraina uno scenario di tipo venezuelano, dove gli Usa si erano accordati con alti esponenti del potere di Caracas per favorire il golpe di Juan Guaidò, operazione fallita perché i cospiratori sono stati neutralizzati o, scoperti, hanno fatto il doppiogioco, vanificando il regime-change (tutto ciò è spiegato nei minimi dettagli dal sito Usa, molto ben informato, Axios).
Ciò spiegherebbe molte cose, compresa l’impasse attuale dell’esercito russo che, vaporizzata la guerra lampo, deve rincorrere una vittoria sul campo, con le devastazioni conseguenti, o a livello diplomatico.
L’unica opzione percorribile è un accordo Ucraina-Russia
Ma al di là dei retroscena più o meno possibili, resta la guerra e il dolore che essa sempre comporta. Nella ridda di articoli sul tema, sembra interessante quanto scrive Ross Douthat sul New York Times (titolo dell’articolo: “Alla ricerca di un Endgame in Ucraina”).
Douthat spiega che la guerra ha consegnato grandi guadagni agli Stati Uniti in termini di “realpolitik”. Anzitutto, nei confronti della Russia, ormai isolata e flagellata a livello economico e finanziario e forse costretta a una lunga “guerra di logoramento”.
La guerra ha anche fruttato nei confronti degli alleati europei, secondo Douthat. Infatti, il Vecchio Continente “non sta solo guidando la risposta economica e finanziaria; ma promette anche di fare passi cruciali che una serie di presidenti americani avevano richiesto invano, a cominciare dal riarmo tedesco, la chiave di volta per qualsiasi impegno volto a riequilibrare le nostre risorse verso l’Asia. E mentre la Cina senza dubbio vede vantaggio in tutti questi disordini, l’inizio sbalorditivo della guerra di Putin e la risposta unificata e inaspettatamente punitiva dell’Occidente fa sì che debbano smorzare leggermente le proprie ambizioni rispetto Taiwan”.
E però, al netto di tali considerazioni, e altre (ad esempio il riposizionamento energetico dell’Europa verso gli Usa), restano le sofferenze procurate dalla guerra, che deve pur finire prima o poi, e meglio prima che poi. Ma come se ne esce?
Una prima ipotesi, che sta circolando, è quella di favorire un regime-change in Russia, cosa peraltro detta chiaramente da Boris Johnson. Sul punto Douthat annota che i politici americani dovrebbero “togliersi dalla testa” tale ipotesi, “perché è uno scenario ancora estremamente improbabile e non può assolutamente essere il fulcro della politica statunitense, perché un colpo di stato fallito con anche una sola traccia di un’impronta digitale americana, aggraverebbe tutti i pericoli esistenziali che dobbiamo affrontare, aumentando allo stesso tempo le probabilità di una guerra di terra più ampia e di una guerra nucleare”.
La seconda ipotesi è quella di alimentare una guerriglia strenua contro l’invasore, nel caso in cui la Russia vincesse la guerra, sviluppo inevitabile se il conflitto non viene fermato prima, evitando ulteriori, inutili, vittime.
“Nel breve periodo”, scrive Douthat, sostenere una guerriglia continua “è una situazione molto vantaggiosa per gli interessi americani. Tiene Mosca vincolata al suo confine, mantiene l’Europa concentrata sulla necessità del riarmo e dell’indipendenza energetica e mina lentamente il governo di Putin senza il rischio di un colpo di stato”.
E, però, tale opzione lascerebbe gran parte dell’Ucraina occupata dai russi e la guerra continuerà a produrre vittime “per anni, se non per decenni”. Inoltre, l’isolamento imposto alla Russia renderà stabile l’asse con la Cina, forse producendo “un sistema finanziario ed economico eurasiatico a sé stante, con la Russia come cliente più debole. ma con la potenza cinese che ne beneficia immensamente”.
Così, conclude Douthat, l’opzione migliore, soprattutto in termini umanitari, è quella di un accordo tra Ucraina e Russia, anche se le difficoltà sono enormi. Ma intese sono state raggiunte anche con Stalin. Oggi le due delegazioni si incontrano per la seconda volta, si spera che si aprano possibilità.