Ucraina: l'errata evocazione di Monaco e la lezione del 1914
Tempo di lettura: 4 minutiNel corso della guerra ucraina tanti, a iniziare da Zelensky, hanno accusato I Paesi occidentali di ignavia rispetto all’invasione russa, e tanti, a tal proposito, hanno evocato il nefasto accordo di Monaco, quando Francia e Gran Bretagna acconsentirono all’annessione dei Sudeti alla Germania nella speranza di evitare una guerra su larga scala in Europa.
Ryan Mcmaken, sul sito del Ron Paul Institute, annota come lo spettro di Monaco sia stato evocato dalla deputata ucraina Lesia Vasylenko, dal deputato estone Marko Mihkeleson e da opinionisti americani del calibro di Larry Elder e Peter Singer (ma sono solo alcuni).
Lo spettro di Monaco evoca un tragico fallimento, dal momento che l’ingenua speranza di conservare la pace aprì, invece, il vaso di Pandora. Da allora, scrive McMaken, “la lezione di Monaco, per i sostenitori dell’intervento militare a oltranza, è che è sempre meglio intensificare i conflitti internazionali e approcciare gli antagonisti sul campo di battaglia piuttosto che cercare compromessi”.
La trappola di Monaco
Come si legge nell’articolo, la tanto invocata lezione di Monaco si fonda su due pilastri fondamentali. In primo luogo vi è il presupposto che ogni atto di aggressione militare condurrà automaticamente, se non contrastato subito e con forza, ad altre aggressioni.
Per McMaken, si tratta di una declinazione della ormai screditata teoria del domino, in voga durante la guerra fredda, secondo la quale se una nazione si sottomette a un vicino aggressivo (all’epoca, l’Urss), anche le altre nazioni vicine saranno presto costrette a sottomettersi. Questo punto di vista parte dall’assunto che ogni Stato considerato “aggressivo” abbia le stesse motivazioni della Germania nazista e abbia dunque come obiettivo una catena di conquiste militari.
Il secondo pilastro della lezione di Monaco, continua McMaken, è conseguenza del primo: “Poiché è probabile che ogni azione militare aggressiva prelude ad altre, l’unica opzione realistica è quella di rispondere all’aggressione con un’escalation, evitando compromessi”.
In questo secondo punto, scrive McMaken, troviamo il motivo per cui i sostenitori dell’avventurismo militare equiparano puntualmente ogni leader straniero inviso alle élite occidentali a Hitler.
Così la retorica di Monaco è stata usata negli anni ’80 dai falchi della guerra fredda per criticare gli sforzi fatti allora per limitare l’utilizzo di armi nucleari e, più di recente, è stata usata contro l’iniziativa diplomatica di Obama verso l’Iran (accordo sul nucleare).
Inoltre, come si legge su The Conversation in un articolo sulla crisi ucraina del 2014, “questo tipo di parallelismo non è nuovo, è usato ogni volta che c’è un nemico sul quale far concentrare l’attenzione dell’opinione pubblica. Negli ultimi anni, secondo la retorica occidentale, Adolf Hitler si è reincarnato diverse volte – nei panni di Saddam Hussein, Mohammed Gheddafi, Mahmoud Ahmadinejad e altri ancora”.
Come evidenzia McMaken, il fatto che gli eventi di Monaco siano ben noti ai più ha contribuito a portare acqua a questa narrativa, per cui ogni tentativo di compromesso o di eludere un intervento sono identificate come una declinazione della politica dell’appeasement.
E poco importa il fatto che sia stato dimostrato varie volte che le dinamiche in gioco nel 1938 non si possono equiparare a quelle del mondo moderno. Come si legge nell’articolo, “Questa spaventosa immagine del domino che cade, per fortuna, non è in realtà qualcosa di usuale nella storia. Lo era negli anni ’30, ma non lo era, per esempio, durante la Guerra Fredda”.
“Gli aggressori non sempre interpretano una vittoria come un segnale per far cadere anche tutte le altre ‘tessere del domino’. La deterrenza è determinata da fattori locali e storici […]. Così quando gli USA hanno perso il Vietnam, la Corea del Nord o la Germania dell’Est, hanno evitato di attaccare la Corea del Sud o la Germania dell’Ovest, né gli USA hanno attaccato Cuba o il Nicaragua dopo la sconfitta sovietica in Afghanistan”.
La lezione del 1914
Il punto, continua l’articolo, è che “ci sono altre lezioni da imparare” dalla storia, come quelle relative agli avvenimenti del luglio 1914. Il 23 luglio di quell’anno il governo austro- ungarico diede un ultimatum alla Serbia, innescando una serie di risposte da parte dei Paesi europei. “Ne seguirono quattro anni di inutile spargimento di sangue, che avrebbero potuto essere evitati. […] quella che sarebbe dovuta essere una guerra regionale nei Balcani si trasformò in un conflitto europeo” e poi mondiale.
“La guerra fu il risultato di azioni di governi che facevano, dal loro punto di vista, ciò che la lezione di Monaco suggerisce di fare: precipitarsi in guerra e affrontare i nemici con la forza militare in nome della lotta contro l’aggressione. La lezione del 1914 è certamente istruttiva oggi, in particolare laddove esiste la possibilità di trasformare guerre limitate [leggi Ucraina ndr] in disastri su vasta scala”.
“Fortunatamente, nonostante le pretese di essere i garanti globali della libertà, gli Stati Uniti hanno seguito la lezione del 1914 in almeno in due occasioni”: nel 1956, e nel 1968, quando l’Unione sovietica invase rispettivamente l’Ungheria e la Cecoslovacchia, la Nato evitò di intervenire. “In queste due situazioni – scrive Mcmaken – seguire gli insegnamenti della lezione di Monaco avrebbe aumentato notevolmente la probabilità di una guerra nucleare”.
“È interessante notare”, chiosa l’articolo, “come all’epoca la maggior parte dei critici del non intervento americano facevano parte della destra anti sovietica, mentre oggi è tra le file di una certa sinistra che si sente ululare l’evocazione di Monaco e che si spinge per una guerra USA-Russia, minimizzando il rischio di un confronto nucleare. Ma quanti oggi spingono per la terza guerra mondiale sono un esempio di ciò che accade quando si è ossessionati dalla lezione del 1938 ignorando quella del 1914”.