Usa e Gb: colpire direttamente la Russia... e poi?
Tempo di lettura: 4 minutiLe cose si mettono male. La mattana del sottosegretario della Difesa britannico James Heappey, il quale ha affermato che “non sarebbe un problema” se l’Ucraina usasse le armi fornite dal suo Paese per colpire il territorio russo, non è passata inosservata a Mosca.
La risposta è arrivata immediata dal ministero della Difesa russo e non è quella sproporzionata riferita dai taluni media, cioè di una minaccia a colpire obiettivi Nato, quanto quella più limitata di colpire i centri decisionali di Kiev,
Con un’aggiunta significativa “I consulenti dei paesi occidentali che prestano assistenza nei centri decisionali di Kiev non saranno necessariamente un problema” nel processo decisionale russo riguardo la ritorsione.
E, però, evidentemente la mattana di Heappey non è un caso isolato. Ieri, il Capo del Dipartimento di Stato Tony Blinken, rispondendo a una domanda non casuale di un cronista, ha dichiarato che sta all’Ucraina decidere se colpire o meno il territorio russo con le armi fornite dalla Nato. Di per sé, una risposta logica, ma che de facto mette la Nato direttamente contro Mosca.
Così, in parallelo, Putin ha dichiarato che Mosca è pronta a una “reazione fulminea” in caso di attacco, non certo limitata all’Ucraina.
Va considerato che Mosca, da quando ha ripiegato le truppe da Kiev nel Donbass, non ha più colpito la parte occidentale dell’Ucraina se non gli obiettivi militari, indicando chiaramente che intende limitare la sua azione (se avesse voluto, avrebbe già incenerito l’intera Ucraina, come fece l’America con l’Iraq, colpendo ad alzo zero, già il primo giorno, Baghdad).
Il punto che qualche testa calda in Occidente non vuole un conflitto circoscritto – sul modello di quelli che hanno scandito la guerra fredda -, ma intende allargarlo a tutti i costi, nulla importando delle linee rosse tollerabili dalla Russia.
E, però, le dinamiche geopolitiche sono regolate proprio da tali linee rosse, che non valgono solo per la Russia. Lo dimostra il caso delle Isole Salomone, che la Cina ha appena strappato dall’influenza di Australia e Usa.
Un’iniziativa diplomatica alla quale Canberra ha risposto dichiarando che un’eventuale base militare cinese in loco supererà una “linea rossa“, con avvertimento supportato da Washington, che ha minacciato un “intervento militare“.
Ma per l’Ucraina tale logica, che aiuta a prevenire disastri, non sembra valere. Il problema è che alla testa delle nazioni che oggi stanno spingendo per forzare le linee rosse di Mosca sono due figure pesantemente ricattabili: Boris Johnson, attraverso il party-gate, e Biden con il computer personale del figlio Hunter. E ciò complica tutto, perché certi ambiti guerrafondai usano di tutto per i propri scopi.
Resta che se il conflitto non viene raffreddato, non piangeremo solo i morti del Donbass, ma quelli di Londra, Washington, Roma e altrove.
Anche perché Putin non può frenare sempre le spinte di quanti, all’interno della Russia, chiedono una risposta più energica alla guerra asimmetrica della Nato (anche nelle cosiddette autocrazie esistono dialettiche interne).
Lo ha fatto più volte. E probabilmente ha usato tutto il suo potere per tacitare una risposta all’affondamento della Moskva. Lo ha spiegato perfettamente il superfalco Luttwak, il quale ha affermato che con quell’affondamento “abbiamo sfiorato la guerra mondiale“.
Certo, Luttwak sposa la spiegazione ucraina (né poteva fare diversamente), secondo la quale l’ammiraglia russa sarebbe stata affondata con un drone (il Bayraktar), che avrebbe accecato le sue difese e due missili anti-nave Neptune. Ma non ci crede neanche lui, dato il commento succitato.
In un’analisi pubblicata su Strategic Foundation si spiega come la Moskva “era posizionata vicino a uno dei 3 impianti di rilevamento utilizzati per monitorare un intero settore del Mar Nero con idrofoni e radar NEVA-BS, [e precisamente] quello più a ovest, il BK-2 Odessa, a circa 66 km a nord-est da Snake Island. Il tutto integrato con i sistemi di monitoraggio regionale”.
“Così tutto, letteralmente, era monitorato all’intorno: navi, bersagli a bassa quota, gli echi più piccoli, persino la testa basculante di un ignaro nuotatore. Quindi non c’era una minima possibilità che qualcosa, per non parlare dei missili subsonici Neptune e dei droni Bayraktar, potesse scivolare invisibile all’interno di questa rete aerea”.
Droni e missili attaccanti, secondo l’analista, sarebbero stati guidati dal sistema Orion installato in Romania, ma anche in questo caso era impossibile per dei missili poco sofisticati come i Naptune bucare il sistema difensivo della nave e soprattutto la rete di rilevamento intorno a questa.
L’analista fa l’ipotesi che a colpire la Moskva sia stato invece “un missile NSM PKR di quinta generazione (Naval Strike Missile, con una portata di 185 km, sviluppato dalla Norvegia e dagli americani)”, ma non è interessante il come, il fatto è che a colpire l’ammiraglia della flotta russa sia stata la Nato e non l’Ucraina, e questo spiega l’allarme di Luttwak.
Un colpo strategico non solo in sé, ma anche perché “la Moskva stava interferendo con il trasferimento segreto da parte della NATO di velivoli militari (elicotteri e caccia) dalla Romania all’Ucraina” e la sua dipartita non è facilmente rimpiazzabile dai russi.
Insomma, la Nato è ingaggiata direttamente in questa guerra e non certo per difendere l’integrità territoriale del Paese, quanto per “indebolire la Russia“, come ha dichiarato anche di recente il ministro della Difesa Usa Lloyd Austin.
Mosca può accettare tale sviluppo della situazione, di certo preventivato, ma fino a un certo punto, oltrepassato il quale non può non rispondere. Una banale logica geopolitica.
E se anche non desse inizio a una guerra atomica, come presumibile, può colpire obiettivi (navi?) militari britannici e americani, che a loro volta non potrebbero non rispondere. Davvero si vuole tutto questo?
Ieri il Segretario delle Nazioni Unite Antonio Guterres si è recato a Mosca per parlare con Putin, prima di incontrare Zelensky a Kiev, un’iniziativa diplomatica che quest’ultimo ha criticato aspramente.
Chi gestisce il presidente ucraino, cioè Londra e Washington (con l’ausilio di Big Tech e Hollywood), dovrebbe usarlo con maggiore cautela. Anche questo aiuterebbe a trovare una soluzione a una crisi che ogni giorno che passa rischia di diventare incontrollabile.
Facciamo nostro, per concludere, un passaggio del discorso del presidente Mattarella nel giorno della Liberazione. Condannando con la massima fermezza l’invasione russa, ha concluso: “Avvertiamo l’esigenza di fermare subito, con determinazione, questa deriva di guerra prima che possa ulteriormente disarticolare la convivenza internazionale, prima che possa tragicamente estendersi”.
C’è ancora spazio per negoziare, come dimostra l’iniziativa di Guterres, o almeno per tenere sotto controllo la guerra prima che esploda in faccia ai tanti apprendisti stregoni e al mondo intero. Vedremo.
Ps. Ieri lo scambio di prigionieri tra Russia e Stati Uniti: Trevor Reed (arrestato per aggressione) per Konstantin Yaroshenko (in carcere per traffico di droga). Probabile siano due spie, altrimenti non si sarebbero mosse le autorità. Piccolo segnale distensivo tra le due potenze e indice che “non tutte le linee di comunicazione tra Washington e Mosca sono collassate” (New York Times).