Le telefonata Austin - Shoigu e i cosiddetti aiuti all'Ucraina
Tempo di lettura: 3 minutiLa conversazione telefonica tra i ministri della Difesa russo e americano, Sergej Shoigu e Lloyd Austin, è una buona notizia, dal momento che è la prima comunicazione ad alto livello tra le due potenze dall’inizio della guerra (a livello più basso le comunicazioni sono continuate, vedi Repubblica). Impossibile pensare che Austin non avesse ricevuto il placet di Biden.
Tanto che, per pararsi dalla accuse interne di cedimento, il presidente Usa ha scelto proprio la giornata di ieri per chiamare Svezia e Finlandia, con le quali ha discusso della loro richiesta di adesione alla Nato, cosa gradita ai Signori della guerra.
Anche lo spazio quasi irrilevante che la conversazione dei ministri della Difesa ha ottenuto sui media mainstream americani denota il non gradimento dei Signori suddetti, che tali media ormai controllano restringendo a quasi zero la libertà di stampa dell’Impero (a proposito di esportare la democrazia).
Nulla si sa di quanto si sono detti, se non che hanno concordato di tenere aperte le comunicazioni e che hanno parlato per un’ora, ovviamente dell’Ucraina. La stampa riferisce che Lloyd avrebbe chiesto un “cessate il fuoco”, ma sul punto torneremo.
Detto questo, tra una lettura troppo positiva, “un cambio di rotta di Washington”, e un pessimismo disfattista, la chiamata “non è stata risolutiva” (ambedue nel commento di Dagospia), ci attestiamo su una lettura più realista.
La chiamata non poteva certo essere risolutiva né segnala un cambiamento di rotta, semplicemente, all’interno della dialettica che lacera l’Impero, conteso tra follie neocon e realismo politico, quest’ultimo ieri ha battuto un colpo allo scopo di limitare l’escalation.
Segue, cioè, la sfuriata di Biden contro le pubblicazioni improvvide della stampa Usa, che la scorsa settimana con le loro rivelazioni sull’assistenza Usa ad ammazzare i generali russi e ad affondare navi di Mosca, hanno praticamente dichiarato che l’America era in guerra con la Russia, con tutti i rischi del caso.
All’America serve una guerra per procura, con gli ucraini come carne da macello, non un ingaggio diretto con la Russia. Ma anche sulla guerra per procura ci sono fibrillazioni interne, non essendo tutto il potere americano consegnato al dio della guerra.
Così quel cenno sul “cessate il fuoco” riecheggiato nel corso della telefonata può suonare vacuo oggi, ma potrebbe non suonare altrettanto vano in futuro, quando le condizioni potrebbero favorire l’ipotesi di una risoluzione del conflitto in stile coreano.
Val la pena, a tale proposito, ricordare che il 10 maggio il New York Times delineava un quadro alquanto diverso dal solito sulla situazione ucraina, spiegando che la Russia aveva dichiarato che le sue forze “sono avanzate fino al confine tra Donetsk e Luhansk”, da cui “la prospettiva che la Russia possa presto ottenere il controllo completo sulla regione nota come Donbass, rispetto a solo un terzo controllato prima dell’invasione”. Acquisizioni che gli darebbero una leva reale nei successivi negoziati, conclude il giornale della Grande Mela.
In realtà, è possibile che i negoziati non inizino mai, troppi i fattori ostativi, da cui discende che l’unica possibilità per porre fine al conflitto potrebbe essere quella di congelarlo con un armistizio più o meno permanente, che potrebbe seguire l’acquisizione del Donbass. Da cui l’importanza del cenno sul “cessate il fuoco” della telefonata di ieri.
In attesa degli eventi, comunque sospesi a imprevisti, da registrare che gli americani e la Ue continuano a inondare l’Ucraina di armi, gran parte delle quali saranno distrutte prima di arrivare al fronte, ma che comunque arricchiscono i Signori della guerra e rendono più fluide le prospettive di una qualche pacificazione.
Biden ha chiesto al Congresso di approvare uno stanziamento ulteriori 33 miliardi di dollari. Cifra monstre che il Congresso ha addirittura aumentato in 40 miliardi (per dire che a oliare la macchina della guerra non è solo l’amministrazione), con voto che però è stato ritardato grazie all’intervento del senatore Rand Paul (iniziativa che riecheggiare lo slogan “un uomo solo può fermare la storia”, diventato virale al tempo di Tienanmen).
Contrari solo 57 repubblicani, mentre tutti gli esponenti della Squadra di Bernie Sanders, che pure all’inizio dell’invasione russa aveva coraggiosamente invocato una soluzione diplomatica alla crisi (Guardian), ha votato a favore, indice della scarsa lungimiranza e della scarsa rilevanza di tale ambito progressista nelle scelte cruciali dell’Impero.
Una nota di colore va spesa, infine, per la presidente della Camera Nancy Pelosi, che nel chiedere al Congresso l’approvazione dei cosiddetti aiuti, ha scomodato addirittura il Vangelo: “Quando sei a casa a pensare [in cosa consista il pacchetto di aiuti], pensa a ‘quando avevo fame, mi hai dato da mangiare, dal Vangelo di Matteo”. Si può bestemmiare in tanti modi, ha scelto il peggiore.
Ps. Di oggi la notizia del ritiro da Kharkiv delle forze russe, spiegato così da Dagospia: un ripiegamento simile a quello già effettuata da Kiev. I russi segnalano il loro limitato interesse per il Donbass russofono (e inviano un segnale alla controparte, per avviare negoziati sul cessate il fuoco). Ma mentre la notizia rimbalza sui media occidentali, non ha conferme né nella controparte né terze.