Don't look up: non un film, ma tragica realtà
Articolo più che istruttivo quello di Douglas Rushkoff su The Guardian, dal momento che apre una finestra sul potere vero, quello che governa il mondo, e sulla percezione che essi hanno della realtà che essi stessi stanno forgiando. Uno scenario da incubo per le masse, ma anche per loro che pure lo stanno fabbricando.
Non una analisi, quella di Rushkoff, ma un racconto di quanto davvero accaduto quando fu invitato a un convegno con alcuni dei super-ricchi del mondo Tech. Esperto di tecnologia e professore di media studies alla NYU, di impostazione marxista, Ruskoff era rimasto incuriosito dall’invito e pensava che le sue qualifiche fossero richieste per ottenere delucidazioni sulle storture della Tecno-finanza.
Ma giungendo in una villa nascosta nel deserto e sedendo al tavolo dei convenuti, scopre presto la tragicomica realtà. “Hanno iniziato in modo abbastanza prevedibile – rendiconta Ruskoff – con domande come Bitcoin o Ethereum? Realtà virtuale o realtà aumentata? Chi riuscirà ad adoperare per primo l’informatica quantistica, la Cina o Google? Alla fine, però, hanno iniziato ad arrivare al punto che li interessava davvero: Nuova Zelanda o Alaska? Quale regione sarebbe stata meno colpita dall’imminente crisi climatica?”.
“Da lì in poi la situazione è solo peggiorata – chiosa lo studioso – Qual è la minaccia più grande: il riscaldamento globale o la guerra biologica? Nel progettare un rifugio, questo dovrebbe avere una propria riserva d’aria? Qual è la probabilità di contaminazione delle falde acquifere [dopo un eventuale disastro ndr]? E ancora, dopo che l’amministratore delegato di una società di brokeraggio ha spiegato di aver quasi completato la costruzione del proprio bunker sotterraneo, ha chiesto: ‘Come faccio a mantenere salda la mia autorità, dopo l’evento, nei confronti del personale preposto alla mia sicurezza?'”.
“L’evento. Questo l’eufemismo usato per indicare l’armageddon, ossia un collasso ambientale o gravi disordini sociali o un’esplosione nucleare o magari un virus inarrestabile”.
Insomma, i ricchi investitori volevano semplicemente sapere come avrebbero potuto salvare la pelle nel ‘giorno del giudizio. La loro proiezione del futuro, come spiega Rushkoff, aveva un solo obiettivo: fuggire dal resto della plebe per mettersi al sicuro dai danni causati anche e soprattutto dai loro stessi investimenti.
Costruire l’apocalisse per gli altri
Tutti questi grandi imprenditori- scienziati- filantropi, nota Rushkoff, “si stanno preparando per un futuro digitale che non ha tanto a che vedere con la prospettiva di rendere il mondo migliore, quanto con il trascendere completamente la condizione umana. La loro estrema ricchezza e il loro privilegio li hanno resi ossessionati dal pericolo del cambiamento climatico, dell’innalzamento del livello del mare, delle migrazioni di massa, delle pandemie globali e dell’esaurimento delle risorse”.
“Un tempo queste persone inondavano il mondo di piani aziendali ottimistici su come la tecnologia avrebbe potuto giovare alla società umana. Ora hanno ridotto il progresso tecnologico a un videogioco che vincerà chi sarà in grado di trovare per primo la via di fuga“.
“Sarà Jeff Bezos a vincere migrando nello spazio o Mark Zuckerberg rinchiudendosi nel suo metaverso virtuale? Questi miliardari catastrofisti sarebbero i presunti vincitori dell’economia digitale, i presunti campioni dell’idea della sopravvivenza del più forte, idea che ha alimentato la maggior parte delle loro speculazioni. Tuttavia, a me pare che per queste persone ‘vincere’ significa guadagnare abbastanza denaro da isolarsi dai danni che stanno creando essi stessi guadagnando in modo disumano. È come se volessero costruire un’auto che vada abbastanza veloce da riuscire a sfuggire ai suoi stessi scarichi”.
Eppure, nota Rushkoff, questa evasione dalla realtà in stile Silicon Valley, mentalità che lui chiama “Mindset”, li fa confidare nell’assurda prospettiva secondo la quale i vincitori possono effettivamente abbandonare il mondo reale, lasciandosi alle spalle tutti gli altri.
Questo è possibile perché mai prima d’ora gli attori più ricchi e influenti del pianeta avevano avuto a disposizione tecnologie tanto avanzate da credere di potersi mettersi in salvo nei loro bunker o nelle loro fattorie autosufficienti mentre rendono il mondo un posto invivibile per tutti gli altri.
Come continua Rushkoff, “Il mondo in cui viviamo è pieno di algoritmi e intelligenze che incoraggiano attivamente queste prospettive egoistiche. Chi è abbastanza sociopatico da abbracciarle viene ricompensato con più denaro e più controllo sul resto di noi. È un ciclo di feedback che si autoalimenta”.
Inoltre, la disparità di ricchezze che non ha precedenti e lo sviluppo delle tecnologie digitali fa sì che queste élite si sentano legittimate a proseguire la loro vita a danno degli altri, salvo sviluppare poi, come specifica Rushkoff, “il desiderio di trascendere e separarsi dalle persone e dai luoghi di cui hanno abusato”.
Don’t look up: la filosofia dell’uscita dal mondo
“Come in una trama di un blockbuster Marvel, la struttura stessa della Mindset vuole un endgame – continua Rushkoff – Tutto deve risolversi con l’uno o lo zero, con un vincitore o e un perdente, il salvato o il dannato. Le catastrofi reali e imminenti, dall’emergenza climatica alle migrazioni di massa, supportano tale mitologia, offrendo a questi aspiranti supereroi l’opportunità di interpretare il finale della loro vita. La Mindset c’è vive delle certezze fondate sulla fede della Silicon Valley, che gli assicura di poter sviluppare una tecnologia tale che, in qualche modo, consentirà loro di infrangere le leggi della fisica, dell’economia e della moralità, così da offrirgli qualcosa di meglio di salvare il mondo [come avviene nei film]: un mezzo per sfuggire all’apocalisse che hanno creato”.
En passant, Rushkoff rammenta che, dopo aver scritto di questo incontro nel deserto, il suo articolo ha destato l’interesse delle aziende fabbricano rifugi per queste élite (bunker, villaggi sotterranei etc.) in vista “dell’evento”, che lo hanno contattato per chiedere informazioni…
Eppure, come nota Rushkoff, tutti questi tentativi di proteggersi dalla realtà sono estremamente fragili. Durante la pandemia, ad esempio, il New York Times ha riferito che gli agenti immobiliari specializzati nel settore delle isole private sono stati sommersi di richieste da parte di potenziali clienti che chiedevano informazioni per acquistare un’isola che avesse abbastanza terreno coltivabile e uno spazio per costruirvi un eliporto. Ma come si può pensare che un’isola privata, un bunker o giardino idroponico possano essere trasformati in fortezze autosufficienti?
Rushkoff si meraviglia, ma forse neanche tanto, della totale assenza di una prospettiva positiva in questi tristi figuri, i quali potrebbero usare delle loro immani ricchezze e del quasi illimitato potere sul pianeta per cambiare in meglio quanto hanno forgiato, ma tale prospettiva è semplicemente inconcepibile, dal momento che sono ormai schiavi del ruolo che si sono ritagliati.
Interessante anche la conclusione di Rushkoff. In realtà, spiega, “non ero stato interpellato da questi milionari per valutare le loro strategie, quanto la filosofia che era alla base della loro ossessione di ‘fuggire’ la massa. Si trattava di elaborare quella che sono arrivato a definire l’equazione dell’isolamento: possono guadagnare abbastanza soldi per arrivare a isolarsi dalla realtà che stanno creando e che gli permette di guadagnare in modo tanto spropositato? C’è qualcosa che possa dare una giustificazione a questo sforzo teso ad accumulare tale immane ricchezza lasciando indietro tutti gli altri?”
“[…] Così, forse non stanno in realtà cercando di fuggire l’apocalisse, piuttosto questa prospettiva è una scusa per realizzare il vero obiettivo della “Mindset”: elevarsi al di sopra dei comuni mortali per realizzare la loro strategia di uscita definitiva” dal mondo.
In realtà le due prospettive indicate nella conclusione vanno insieme, altrimenti tali élite non si farebbero fabbricare rifugi anti-atomici, ma si limiterebbero a comprare isole e a ergere barriere invalicabili attorno a esse. Lo scenario descritto da Rushkoff è quello di “Don’t look up“, ma si può ben dire che, nel caso specifico, la realtà supera di molto la fantasia. Se quel film è una pellicola comica, il racconto di Rushkoff può dare materiale per un film dell’orrore.
N.B. Attenzione spoiler. Nella foto in alto un particolare della scena finale del film Don’t look up, scena che segue i titoli di coda, in cui I sopravvissuti al viaggio spaziale atterrano su un pianeta che appare paradisiaco. Ma la vana speranza, ripetuta come mantra per tutto il film, “andrà tutto bene” è subito frustrata e Meryl Streep viene mangiata dal Bronteroc, una animale bellissimo ma evidentemente pericoloso. Intorno ai sopravvissuti si aggirano molti altri Bronteroc