19 Ottobre 2022

Obama: porre dei limiti all'impegno in Ucraina

Barack Obama. Obama: porre dei limiti all'impegno in Ucraina
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Barak Obama scende in campo sulla guerra ucraina e afferma l’indicibile: “Dobbiamo dire onestamente all’Ucraina cosa possiamo fare e cosa non possiamo fare. Gli Stati Uniti, la NATO e altri dovrebbero determinare in modo indipendente dei limiti, sulla base della possibilità che il conflitto tra Russia e Ucraina finisca col degenerare in un’escalation tra la Russia, gli Stati Uniti e la NATO” (Pod Save America).

Un intervento pesante, quello dell’ex presidente degli Stati Uniti, che mette in discussione la linea dei falchi che stanno gestendo la guerra ucraina in maniera talmente sconsiderata da rischiare la terza guerra mondiale.

L’articolo del Washington Post

Le dichiarazioni di Obama trovano un’eco in un articolo di Ishaan Tharoor pubblicato oggi sul Washington Post nel quale il cronista dice che il piano di pace ipotizzato da Elon Musk aveva un fondamento, nonostante le feroci critiche che si è attirato.

A conferma, Tharoor riferisce quanto scritto da Gideon Rachman sul Financial Times: “Per alcuni dei più accaniti sostenitori dell’Ucraina, anche solo parlare di diplomazia equivale a un processo di pace. La loro argomentazione è che l’unico modo accettabile e realistico per porre fine alla guerra è che Putin venga sconfitto. Va bene come affermazione di principio, ma non è di grande aiuto nella pratica”.

In realtà, sostiene Rachman, “la diplomazia non dovrebbe essere vista come un’alternativa alla prosecuzione dell’impegno sforzo bellico, dal momento che può essere dispiegata in parallelo”.

E però, spiega Tharoor, i contatti con la Russia si sono logorati così tanto da risultare ancora più rarefatti di quelli esistenti nel corso della crisi dei missili cubani, così che l’attuale criticità risulta ancora più pericolosa di quella (da cui discende una maggiore urgenza nel porre correttivi).

Tharoor indica una possibile opzione: “Il coinvolgimento di attori non occidentali potrebbe far muovere l’ago della bilancia. Un precedente ciclo di colloqui tra Russia e Ucraina non è andato da nessuna parte, ma abbiamo assistito al successo di uno sforzo guidato dalla Turchia che ha contribuito a liberare le scorte di grano ucraino bloccate, così da porre rimedio alla crisi creatasi in un mondo affamato (1). Anche altri leader regionali, tra cui il presidente degli Emirati Arabi Uniti e l’emiro del Qatar, hanno intensificato gli appelli per porre fine delle ostilità e si sono offerti di mediare tra Mosca e Kiev”.

Osservazioni confermate da quanto afferma Eugene Chausovsky, analista senior presso il New Lines Institute: “Una mediazione di successo che produce risultati tangibili, anche su questioni relativamente piccole, può gettare le basi per una futura riduzione dell’escalation”.

Tali negoziati, scrive Tharoor, sono indispensabili per evitare la terza guerra mondiale, ma si può aggiungere che dovrebbero avere come obiettivo ultimo quello di riportare la pace nella martoriata regione.

I repubblicani alla Camera

Su questo punto ci permettiamo una chiosa: la cosa più stupefacente del dibattito sulla crisi ucraina è la demonizzazione della parola pace, tanto che chi solo vi accenna viene sommerso dalle critiche dei talebani della narrazione.

Tale acrimonia verso una delle aspirazioni più alte della civiltà umana rende l’idea dell’imbarbarimento di cui è ormai preda l’Occidente. Tale degrado, che si palesa in questo momentum epifanico, in realtà è il frutto avvelenato della storia recente, in particolare della conquista dell’Impero da parte di liberal e neoconservatori Usa, impresa condotta con successo grazie al lucro crescente delle guerre infinite da loro scatenate (sul punto torneremo).

Al di là della digressione, e per tornare al punto, resta da capire se le voci di Obama e di quanti invocano correttivi nell’approccio alla guerra ucraina possano prima o poi soverchiare l’assatanata canea dei falchi.

Una flebile speranza viene dalle dichiarazioni di Kevin McCarthy, capogruppo dei repubblicani alla Camera, il quale ha dichiarato con certa fermezza che i repubblicani non sottoscriveranno “un assegno in bianco” all’Ucraina se prenderanno il controllo della Camera alle ormai prossine elezioni di midterm.

Secondo McCarthy, i cittadini americani vogliono che i politici si occupino della loro situazione, sempre più drammatica a causa della recessione (non dichiarata), piuttosto che prosciugare le risorse degli Stati Uniti per sostenere la guerra ucraina (Washington Post).

La prospettiva indicata da McCarthy potrebbe avere un qualche fondamento, in particolare perché tanti dei repubblicani che saranno eletti condividono l’agenda di Trump, il quale ha dichiarato più volte la necessità di trovare un accordo sulla guerra (per questo è ferocemente osteggiato dall’establishment). Ma non sarà facile far fronte alle terribili pressioni che dovranno subire gli eletti, se davvero vorranno intraprendere tale strada.

E però, va valutata anche un’altra variabile, non certo secondaria, di questo puzzle geopolitico. Fin dall’inizio delle ostilità, Biden ha cercato di porre un freno alle follie dei falchi. Una Camera meno guerrafondaia potrebbe offrirgli una sponda, sempre se conserverà tale posizione.

(1) La crisi del grano bloccato nei porti ucraini, con il mondo condannato alla fame, è spiegato in altro modo da M. K. Bhadrakumar su Indianpunhline: quella controversia, scrive, è stata “fondamentalmente una bufala a buon mercato perpetrata dall’amministrazione Biden per convincere la Russia a consentire la vendita del grano appannaggio di Società americane bloccato nei silos ucraini al mercato europeo, infatti le imprese Usa a quanto pare hanno acquistato i terreni agricoli dell’Ucraina e controllano il commercio di grano di quel paese! Solo una parte delle spedizioni di grano provenienti dall’Ucraina è andata ai paesi poveri minacciati dalla carestia”.

Un articolo del Manifesto molto dettagliato e basato su un report della Open Society corregge in parte tale descrizione delle cose: le società estere non hanno comprato tutte le terre ucraine, ma il 71% di esse, che comunque resta una parte preponderante; e tra le dieci società acquirenti, la maggior parte sarebbero europee. Ciò spiegherebbe perché il Vecchio continente risulta come principale destinatario delle spedizioni (che quindi non vanno, se non per briciole, al terzo mondo affamato). Nonostante tale correttivo, le considerazioni di Bhadrakumar appaiono un po’ estremizzate, ma non infondate.

E resta che la narrazione secondo la quale lo sblocco dei porti avrebbe consentito ai poveri contadini ucraini di sbarcare il lunario era per lo meno esagerata. A incassare dalla vendita del grano sono state per lo più le imprese straniere, che peraltro è presumibile che detengano il quasi monopolio delle esportazioni, essendo multinazionali attrezzate allo scopo.