L'attentato a Imran Khan: il niet agli Usa e il G20 di Bali
Tempo di lettura: 4 minutiL’ex primo ministro pakistano Imran Khan sfugge a un attentato che poteva costargli la vita: un attentatore gli ha sparato mentre teneva un comizio, ferendolo. Notizia di secondaria importanza, in apparenza, e che appartiene alla politica interna pakistana, ma alcuni particolari la rendono di interesse geopolitico.
Già stella del criket, Khan viene eletto Primo ministro nel 2018. Governa con alterne fortune, ottenendo in sorte anche il pesante onere di una crisi con la vicina India che rischiava di innescare una guerra nucleare, essendo i due Paesi dotati di atomiche (Piccolenote).
Imran Khan e i diktat Usa
Nel corso del suo mandato Khan intensifica i rapporti con la Cina, per la quale il Pakistan rappresenta un hub ideale per la sua Belt and Road Initiative; ma anche con la Russia, con cui stringe un importante accordo commerciale nel marzo scorso, poco dopo l’invasione dell’Ucraina, in controtendenza rispetto alla spinta dell’Occidente per isolare la nazione reproba.
Una vera e propria ribellione quella di Khan, che ha destato non poca irritazione a Washington e a Londra, già alquanto irritate per l’appeasement con la Cina.
Una disobbedienza che gli Usa hanno immaginato di sanare attraverso la via diplomatica, da cui la lettera indirizzata a Khan da 22 Cancellerie con la richiesta di allinearsi al diktat anti-russo (nulla importando, ovviamente, i danni enormi che ciò avrebbe prodotto alla fragile economia pakistana, condannando milioni di persone alla povertà).
Abituati a esser obbediti tacendo, gli Stati Uniti non si aspettavano certo la reazione di Khan, che in un comizio, rivolgendosi all’Occidente, rispondeva: “Cosa pensi di noi? Che siamo tuoi schiavi? Che faremo qualunque cosa tu ci chieda?” (Reuters).
Risposta che deve aver fatto infuriare Washington, non solo per la pubblica disobbedienza, ma anche perché esponeva i tragici limiti della retorica secondo la quale la guerra globale con focus in Ucraina sia un confronto tra Paesi liberi autoritari. Nel caso specifico, Khan denunciava come i Paesi cosiddetti liberi avessero bisogno di Paesi schiavi, ruolo che egli aveva negato al suo.
La decisa presa di posizione non gli ha ha portato fortuna: un mese dopo il Parlamento pakistano, a seguito di una manovra di palazzo, lo sfiduciava e metteva al suo posto Shehbaz Sharif, appartenente alla famiglia che aveva già dato un premier al Pakistan, non esattamente cristallino.
Secondo Khan la sua estromissione è stata causata dalle pressioni americane, ma, da vero combattente, non ha gettato la spugna, continuando la sua attività politica e attirando alle sue manifestazioni folle oceaniche, come non se ne vedono altrove.
L’attentato e le elezioni
Un seguito che si è manifestato in tutta la sua portata nelle elezioni suppletive dello scorso ottobre, svolte per eleggere alcuni nuovi membri del Parlamento e dell’assemblea regionale del Punjab, la più rappresentativa del Paese.
Elezioni alle quali Khan non ha potuto partecipare in quanto eliminato dalla corsa dalla Commissione elettorale, l’ennesima misura presa dal nuovo potere contro l’ex premier (è stato accusato di ogni cosa, dovendo difendersi da diverse accuse penali; un po’ quel che sta capitando a Trump in America… sempre a proposito di libertà).
L’esito delle elezioni è stato travolgente: il partito di Khan, il Pakistan Tehreek-e-Insaf, ha eletto 9 parlamentari sui 12 in ballo e 2 rappresentati dell’assemblea del Punkab su 3, lasciando i resti ai suo antagonisti, il Pakistan Democratic Movement, una coalizione formata da ben 14 partiti.
La manifestazione in cui Khan è stato ferito oggi si svolgeva proprio a seguito della proclamazione ufficiale della sua schiacciante vittoria; e doveva dare avvio a una marcia verso il Parlamento per chiedere nuove elezioni.
Tutto ciò è stato rovinato dall’intrusione di un attentatore solitario, un Lee Oswald in salsa pakistana, che per fortuna non ha avuto fortuna, riuscendo solo a ferire la vittima predestinata.
Fin qui le vicissitudini dello sfortunato uomo politico pakistano, le cui disgrazie hanno avuto inizio con il suo niet alla crociata anti-russa.
Ma sulla vicenda si può notare alcune coincidenze – nulla più di suggestioni – che sembrano collegare l’attentato contro Khan a quello contro un altro importante politico asiatico avvenuto di recente: quello, purtroppo ferale, a Shinzo Abe.
Anche Shinzo Abe era un ex premier e, come Khan, benché non più in carica, aveva conservato un peso notevole nel panorama politico nipponico. E anche Abe, come Khan, aveva allacciato ottimi rapporti con la Russia.
Il G20 porta sfortuna?
L’ultima corrispondenza – sempre nell’ambito della suggestione – tra i due attentati si può rinvenire nella sequenza temporale. L’attentato ad Abe è avvenuto nel giorno in cui ha avuto inizio il G20 dei ministri degli Esteri a Bali; quello contro Khan ad alcuni giorni dal G20 ufficiale, quando a Bali si incontreranno i Capi di Stato del G-20 (inizierà a metà novembre).
Evidentemente il G20 asiatico non sta portando fortuna agli uomini politici asiatici. Un vero peccato perché il summit indonesiano, a differenza dei precedenti, potrebbe avere una certa rilevanza.
Lo scrive David Ignatius sul Washington Post, che spiega come potrebbe essere l’occasione per un appeasement Usa – Cina, ma anche un’occasione per una qualche distensione tra Washington e Mosca.
È arduo che nell’occasione si possa raggiungere un accordo di pace in Ucraina, ma, secondo Ignatius, si potrebbe trovare un’intesa tra le due potenze per scongiurare i rischi incombenti di un conflitto nucleare.
Sulla possibilità che il G20 possa dare qualche segnale di speranza sul confronto Usa – Russia abbiamo scritto in note pregresse, nelle quali scrivevamo che una carta che le due potenze potrebbero giocare come segno visibile che il dialogo è possibile è la liberazione di Brittney Griner, l’americana ristretta in una prigione russa.
Un piccolo indizio che conforta, almeno al momento, quanto abbiamo scritto, è la notizia, proveniente dalla Casa Bianca, che alcuni funzionari degli Stati Uniti sono stati autorizzati a visitare la Griner in Russia. Vedremo.