Iran: i morti di Izeh e la partita con gli Stati Uniti
Tempo di lettura: 5 minutiL’assassinio di Kian Pir-Falak, un bambino iraniano di 9 anni, avvenuta nella cittadina iraniana di Izeh, ha fatto il giro del mondo, soprattutto perché la mamma, distrutta dal dolore, ha accusato della morte i miliziani Basij, che dipendono dal governo di Teheran.
Il sito The Cradle racconta però tutt’altra storia. Nella guerra di propaganda che si sta giocando in Iran avremmo preso il suo scritto come una fonte parziale, ma ha il difetto di basarsi su una documentazione inconfutabile, a differenza delle tante storie che si raccontano sull’Iran. Infatti, riporta i video di quanto avvenuto. E annota una stranezza che, in effetti, colpisce.
Così, iniziamo dalla stranezza. The Cradle ricorda che, insieme a Kian, sono state uccise altre sei persone, tra cui un altro bambino, Abteen Rahmani, di 13 anni. Eppure nessuno dei media occidentali ha riportato tale notizia, nonostante fosse coinvolto anche quest’altro fanciullo.
Possibile che i parenti e i testimoni dell’eccidio abbiano dato un’altra versione dei fatti, da cui la necessità di censurare? La domanda è legittima, dal momento che la disinformazione sulla strana rivoluzione iraniana è arrivata al parossismo, come denota la notizia, del tutto infondata, secondo la quale Teheran aveva condannato a morte 15mila oppositori (in realtà una sola persona è stata condannata anche se non è dato sapere perché).
I video di Izeh
Ma, al di là delle domande che suscitano le lacunose informazioni dei media mainstream, val la pena scorrere i video pubblicati da The Cradle, in particolare il filmato ripreso da una body-cam in dotazione a un Basij che presidiava il posto.
Il video mostra la pattuglia appostata a un angolo della strada, che porta a qualche posto dal quale si sentono esplodere colpi. Gli agenti si sbracciano e gridano ai veicoli in transito di non andare. “Non andate da quella parte, giratevi da questa parte…. vi uccideranno”. Alcuni si fermano, tornano indietro, altri, invece, incuranti degli avvertimenti, vanno avanti.
A sparare, evidentemente, sono altri, i ribelli, oppositori o come si vuole chiamarli. Più significativo ancora il dialogo tra gli agenti riferito da The Cradle. “Per favore, digli di mandarci 10 Kalashnikov”, grida qualcuno. Un altro si lamenta in agonia, “Ci dicono di andare in piazza a mani vuote”. Un giovane dice a un alto ufficiale: “Haji, diverse (forze) sono state colpite” e l’ufficiale gli chiede: “chi? Nostri uomini?”.
Successivamente si sente la voce dell’ufficiale che dice: “Se non hai armi da fuoco, entra nella sala di preghiera”. “Non abbiamo niente… nessuno ha niente” dice un altro. Infine, negli ultimi secondi del video, un uomo – forse l’alto ufficiale – maledice quelli li hanno mandati in questa debacle. Un giovane dice: “Rimanere qui non ha senso”. E come se indicasse il suo fucile, un ragazzo di nome Reza dice: “Cos’è questo? È un giocattolo, un giocattolo!”.
Ancora The Cradle: “Un video di un giovane volontario Basij ricoverato in ospedale, che parla con difficoltà per una ferita da arma da fuoco al collo, fornisce un’ulteriore prova che uomini armati sconosciuti stavano sparando proiettili veri quella notte. In questo, dice che i suoi colleghi avevano solo pistole paintball con cui difendersi” (le paintball sono usate usualmente per far fronte alle proteste di piazza; se ne fecero largo uso, ad esempio, nel corso dei disordini dei gilet gialli in Francia).
I morti del regime-change
Il fatto che le manifestazioni non sono poi così pacifiche lo indica anche il numero delle forze di polizia uccise, almeno 50 finora, mentre i civili uccisi negli scontri sarebbero circa 300, ma resta da capire se, come raccontano in Occidente, siano stati tutti uccisi dalla repressione o, come avvenuto a Izeh, da altri.
Si tratta di una guerra ibrida, come dimostrano le incursioni di “oppositori” dal Kurdistan iracheno, contro i quali Teheran ha lanciato una controffensiva, per ora solo a distanza, accompagnata dalla richiesta al governo iracheno di tenere a freno gli aggressori.
Le operazioni dei curdi iracheni insistono sul Kurdistan iraniano, regione nella quale si è generata la sollevazione. E l’ex Consigliere per la Sicurezza nazionale Usa ha chiesto di fornire armi ai curdi di questa regione (arrivano, dato quanto accade).
Non una rivoluzione, ma una guerra ibrida che gli Stati Uniti e i suoi alleati stanno portando all’Iran, avviata dalla morte di Mahsa Amini e dalle successive proteste contro il velo di alcune donne iraniane.
Sulla morte di Amini abbiamo scritto in precedenza, pubblicando il video girato in questura nel quale si vede che la ragazza ha un malore e viene soccorsa, cosa che stride con quanto viene raccontato (ma i dubbi su quanto accaduto successivamente possono essere legittimi).
Masih Alinejad e l’intervento Nato
Abbiamo anche scritto della strana influencer Masih Alinejad, esule iraniana che vive negli Stati Uniti sotto la tutela dell’Fbi e da lì, con un lavoro che dura da dieci anni, ha creato una rete di opposizione al governo di Teheran usando il rigetto del velo di parte delle donne iraniane.
Nella nota avevamo pubblicato la foto di Alinejad con Mike Pompeo, che sostiene da tempo un regime-change in Iran. Ma uno scritto recente della Alinejad, pubblicato sul Washington Post, mostra con ancora più chiarezza le sue posizioni.
Evocando, al solito, la destituzione delle autorità iraniane ha raccontato del suo commosso incontro con Macron e altro. Se accenniamo a tale articolo è perché in esso la Alinejad spiega tutto il suo rigetto per l’accordo sul nucleare iraniano, stretto da Obama e cancellato da Trump (su istigazione dei falchi), che Biden aveva tentato di rianimare.
Una posizione propria dei neoconservatori Usa, che non intendono mollare la presa su Teheran e far cadere le sanzioni, cosa che avverrebbe se l’accordo fosse ripristinato. Tali sanzioni, non sollevate neanche durante la pandemia, impedendo a Teheran l’accesso alle medicine, ha affamato la popolazione iraniana, anche quelle donne che la Alinejad dice di difendere.
Non solo, nell’articolo la Alinejad evoca un potenziale conflitto della Repubblica islamica dell’Iran “con la Nato”, idea che non sembra dispiacerle affatto. Sul punto riportiamo il titolo di un articolo del Timesofisrael di ieri: “L’IDF [l’esercito israeliano] conduce esercitazioni aeree congiunte con gli Stati Uniti, simulando attacchi contro l’Iran e i suoi delegati”.
Iran – Stati Uniti
Questa la situazione. Non è una questione di velo o non velo, ma tutt’altro. E la propaganda anti-iraniana che promana dai media mainstream è quella che abbiamo già visto prima di altri interventi militari made in Usa. Stessa manipolazione dei fatti, stessa ferocia.
Per concludere con una nota leggera, si può ricordare come i media avessero riferito che i giocatori della nazionale iraniana di calcio fossero stati minacciati di morte, le loro famiglie sequestrate e a rischio se non si fossero impegnati nel mondiale.
Così, guardando la partita Iran – Stati Uniti pensavamo di vedere una squadra che scendeva in campo col coltello tra i denti. Non solo per il prestigioso obiettivo in ballo, la storica qualificazione agli Ottavi, ma anche per l’avversario, gli odiati Usa. In più c’erano le minacce, le torture.
Invece è stato tutt’altro: i ragazzi iraniani, al confronto degli sfrenati americani, sembrava che stessero giocando un’amichevole… e le minacce?
Al di là, e in netto contrasto con la propaganda, i messaggi di rispetto e fratellanza intercorsi prima della partita tra i calciatori iraniani e Weah, in forza alla nazionale degli Stati Uniti. Non li ha riportati nessuno, se non Irna, agenzia stampa del governo iraniano, quello che avrebbe dovuto gettare in prigione i calciatori in questione, ucciderne mogli e figli etc.