Ucraina: lo scontro di Soledar e la richiesta di missili a lungo raggio
Tempo di lettura: 4 minutiLa battaglia di Soledar è ora il focus della guerra Ucraina. Evgenij Prigožin, che guida i mercenari del Wagner Group, l’aveva data per conquistata, ma è arrivata la smentita ucraina e quella, in parallelo, del ministero della Difesa russo, concordi sul fatto che si stava ancora combattendo.
Soledar: un bagno di sangue
Evgenij Prigožin, in realtà, aveva detto, come riporta la Cnn, che la città era presa d’assedio, con la zona centrale ridotta a un “calderone”, con le forze ucraine accerchiate, cosa che nei giorni successivi è stato detto un po’ da tutti.
C’è controversia sull’importanza di Soledar: evidentemente ai russi conquistarla appare importante, tanto da farne il punto di partenza della loro prima controffensiva dopo essersi ritirati da Kherson per attestarsi sulla riva sinistra del Dnepr.
Secondo la Cnn, che riprende un’analisi dell’Institute for the Study of War (di rito neocon), la sua conquista avrebbe solo un valore simbolico, dal momento che non ha alcuna importanza strategica. Servirebbe solo a dare ai russi una vittoria dopo una serie di umilianti sconfitte.
Ma se così fosse, non si comprende perché Kiev abbia difeso così strenuamente la città, cercando di tenerla nonostante l’accerchiamento delle sue forze, una situazione che purtroppo sarà costata un bagno di sangue ai difensori.
Ad oggi sembra che gli ucraini stiano ancora combattendo, ma ormai è chiaro che la cittadina è persa. E solo il futuro svelerà la rilevanza o meno di questo scontro, se cioè permetterà davvero ai russi di attaccare Bakhmut e altre cittadine strategiche del Dobass.
La tregua natalizia rifiutata
in attesa del futuro, è interessante notare un particolare che appartiene al pregresso. Quando Putin aveva annunciato il cessate il fuoco natalizio (il Natale ortodosso ovviamente) lungo la linea di contatto con le forze ucraine (e non altrove), la reazione della controparte era stata irrisoria.
Riportiamo dall’Agi: Zelensky “non ci sta e ha accusato la Russia di ‘usare il Natale come copertura’ per fermare l’avanzata dell’esercito ucraino”.
Biden aveva ribadito tale rigetto, evidentemente elaborato dagli specialisti in pubbliche relazioni Nato che assistono il presidente ucraino, dichiarando che Putin voleva la tregua solo per dare “un po’ di ossigeno” alle sue truppe. Pugile suonato, cercava di evitare altri pugni.
Dalle parole dei due portavoce dell’Occidente si desumeva che le forze ucraine avrebbero continuato a martellare il nemico, proseguendo in quell’avanzata prodigiosa che gli aveva permesso di liberare Kherson.
Non è andata esattamente così. Come si è visto, la Russia non cercava ossigeno, dal momento che, subito dopo, nonostante la tregua sia stata solo unilaterale (e ha retto nonostante sporadici scontri), è partita la controffensiva.
Tale controffensiva, cioè, mette a nudo la vacuità della propaganda occidentale, dal momento che si rifiutata la tregua solo perché accettarla avrebbe potuto nuocere alla narrativa che fa di Putin l’incarnazione del male assoluto.
Tale la tragica dinamica della propaganda di guerra. E non solo adesso. Il Washington Post di oggi, ad esempio, pubblica un ritratto di James G. Lowenstein, membro dello staff del Comitato per le relazioni estere del Senato, in occasione della sua dipartita.
Mentre i media internazionali continuavano a raccontare le gesta mirabili dell’esercito Usa in Vietnam, che avrebbero portato a un prossima vittoria sui Viet Cong, Lowenstein, armato di sano scetticismo, volle verificare personalmente la situazione. E, non fidandosi dei politici, dell’intelligence e dei media Usa, andò direttamente in Vietnam, dove, piuttosto che stare ai resoconti degli ufficiali dell’Us. Army, prese a parlare con la gente del posto. Inutile dire che tornò dal suo viaggio con una visione del tutto diversa dal trionfalismo imperante. Una visione che, col tempo, si rivelò tragicamente vera.
L’appello della Rice e Gates
E una valutazione negativa sulla reale possibilità di resistenza dell’Ucraina arriva da una fonte del tutto inaspettata, dal momento ci riferiamo è a un drammatico appello per incrementare l’impegno della Nato nel conflitto.
A lanciare l’appello, sulle colonne del Washington Post, Condoleezza Rice, a Capo del Dipartimento di Stato sotto George W. Bush, e Robert Gates, ministro della Difesa con Bush e Obama, in un articolo dal titolo: “Il tempo non è dalla parte dell’Ucraina”.
Nella nota, la solita propaganda, ma anche un quadro meno irreale della situazione ucraina, tanto che i due urgono per inviare subito, in settimane e non mesi, altre armi a Kiev. Non entriamo in tutti i particolari della loro lista della spesa, ne evidenziamo uno: a Kiev dovrebbero essere inviati “missili a lungo raggio“.
Ciò dimostra, ancora una volta, la follia di certi ambiti, perché inviare missili a lungo raggio vuol dire dare all’Ucraina la possibilità di bombardare Mosca…
Un obiettivo non solo aleatorio. Simbolico in tal senso che a dicembre Kiev ha esposto un’installazione con un’immagine del Cremlino in fiamme. Se avesse missili a lungo raggio, sarebbe un obiettivo dichiarato, nulla importando la reazione russa. Che non sarebbe limitata all’Ucraina.
Per fortuna, Biden finora ha negato tali armamenti, più volte richiesti da Kiev, proprio per evitare una guerra termonucleare. Ma le pressioni in tal senso non scemano, anzi.
Da notare che i repubblicani hanno annunciato l’intenzione di mettere sotto inchiesta Biden. Per alcuni di essi serve alla battaglia contro il maccartismo scatenato contro i sostenitori di Trump, ma è certo che i falchi (che allignano tra i loro ranghi come tra i democratici) la useranno per tentare di estorcere a Biden un più forte impegno in Ucraina, compreso l’invio dei missili in questione. Non per nulla l’articolo della Rice e di Gates, due esponenti di spicco del Gop, è stato pubblicato in concomitanza con tale sviluppo.
Si noti che a chiedere di aiutare con più zelo la derelitta ucraina sono due figure che hanno partecipato all’invasione dell’Iraq. Gli è così a cuore la democrazia e la libertà, che hanno incenerito l’Iraq per esportarla. Sorte che sta subendo anche l’Ucraina da quando a gestirne i destini, tramite i terminali locali, sono gli stessi ambiti.