Covid: «spaventare a morte tutti» per farli obbedire alle direttive
Tempo di lettura: 5 minutiIl Telegraph ha pubblicato la messagistica interna del team sanitario che ha guidato la risposta pandemica della Gran Bretagna. E quanto emerge è inquietante. La preoccupazione principale sia del team che del ministro della Sanità Matt Hancock, infatti, piuttosto che il contrasto della malattia, era quella di trovare un modo per costringere i cittadini ad adeguarsi alle direttive del governo. E la soluzione fu alquanto semplice: terrorizzarli.
Google traduce in automatico “spaventare a morte”, ma letteralmente è più come “far cadere i pantaloni”, un modo di dire che ricorda alcune espressioni nostrane, tanto comuni quanto volgari…
Morti di paura
Ma al di là delle sfumature linguistiche, resta il modo inaccettabile con cui il team sanitario britannico operò nella tempesta pandemica. Così Hancock, nel momento più caldo della pandemia scrive, tramite WhatsApp, al suo consulente per i media: “Spaventiamo a morte tutti”.
Ma “l’allora ministro della Sanità non era il solo a pensare che fosse necessario spaventare la gente perché si adeguasse. I messaggi WhatsApp visionati da The Telegraph dimostrano come molti membri del team di Hancock si siano impegnati in una sorta di “Progetto Paura”, condividendo idee su come “utilizzare ‘la paura e i sensi di colpa’ per costringere la gente a obbedire ai lockdown”.
Così scopriamo che i dati di un rapporto dell’Imperial College, in linea con un altro studio dell’Office for National Statistics (ONS), che suggerivano un miglioramento della situazione sanitaria, per il team in questione, invece di risultare di conforto, rappresentarono un problema.
“Ma quando i media successivamente si concentrarono su un altro studio, reso pubblico dalla Public Health England e dell’Università di Cambridge, che mostrava un’elevata velocità di trasmissione [del virus] in alcune regioni del paese – suggerendo che ciò poteva permettere di imporre lockdown locali – Hancock commentò: ‘Non è una brutta cosa’”.
Sulla stessa linea, Damon Poole, consulente per i media di Hancock, che in una conversazione con un funzionario affermava “che la mancata pubblicazione dei dati [sulla pandemia ndr] poteva essere rivolta a loro vantaggio perché ciò ‘aiuta la narrazione che la situazione è davvero brutta’”.
Varianti e mascherine
Anche la “gestione” delle feste natalizie del 2020 fu affidata alla paura. Così sul Telegraph “Boris Johnson, allora primo ministro, aveva promesso che le famiglie si sarebbero riunite a Natale, il primo da quando la pandemia aveva colpito dall’inizio del 2020. Ma poi si rimangiò la promessa, ordinando nuovi blocchi.
“Ma dietro le quinte, i suoi ministri e funzionari erano ben consapevoli che tanta gente sarebbe rimasta profondamente delusa e avrebbe incolpato il governo Johnson per la loro frustrazione”.
Da cui la conversazione via WhatsApp di Hancock con un suo collaboratore. “Piuttosto che fare tante segnalazioni […] possiamo alzare il tono con il nuovo ceppo”, suggerisce il collaboratore. “Spaventiamoli tutti con il nuovo ceppo”, risponde Hancock. Così fu enfatizzata la portata devastatrice della nuova variante Alpha.
In altre fasi della pandemia, meno tempestose, durante i quali era più arduo introdurre nuove misure costrittive, si ricorse all’uso indiscriminato e non necessario della mascherina, non più pensata come misura preventiva, ma per mantenere i cittadini sotto la cappa della paura.
Lo dimostra lo scambio di opinioni tra Hancock e Simon Case, “il segretario di gabinetto, cioè il funzionario pubblico più potente del Paese”, del 10 gennaio 2021. I due, dopo aver scartato l’idea di introdurre misure restrittive minimali che avrebbero potuto ricoprire il governo di ridicolo (ad esempio il divieto della “pesca all’amo”), convennero sul fatto che “la paura” e/o “il senso di colpa” fossero strumenti essenziali per garantire l’adeguamento della popolazione alle direttive. Così decisero di rendere obbligatorio l’uso della mascherina in “tutti gli ambienti”, perché ciò avrebbe avuto un “impatto molto visibile”.
La pandemia e il Terrore
La pubblicazione completa di questi messaggi sembra che sia solo all’inizio e potrebbe riservare altre sorprese. Ma il materiale emerso è più che sufficiente per alcuni commenti.
Anzitutto c’è da chiedersi se l’approccio alla pandemia della Sanità britannica sia un unicum o se fosse prassi prevalente. Le ondate di terrore che hanno funestato il mondo in quella temperie fanno legittimamente propendere per quest’ultima ipotesi.
Ed è forse necessario ricordare che il Terrore è uno strumento tipico delle Agenzie eversive che lo usano per destabilizzare le masse. E grande è stata la destabilizzazione durante la pandemia, durante la quale le problematiche mentali sono aumentate, specialmente nelle persone più fragili, come ad esempio i bambini. Certo, parte di tali patologie è legato alla pandemia, ma è evidente che la Paura disseminata a piene mani da autorità e mass media ha contribuito non poco.
Ma al di là, si può dire che la documentazione del Telegraph rende giustizia ai tanti che hanno sollevato dubbi sulla gestione della crisi, in particolare sul metodo della paura scelto per affrontarla. Si dice che la paura sia uno strumento tipico dei Paesi autoritari. Come si può notare è un normale strumento di potere, utilizzato ampiamente anche in Occidente quando sono in gioco interessi che il potere del momento ritiene essenziali.
Il virus prodotto in laboratorio?
Si potrebbe continuare, ma chiudiamo qua, in attesa di sviluppi, perché, avendo affrontato la questione della pandemia, va registrato il contrordine dei compagni riguardo la nascita del virus. Se nel corso di questi anni quanti suggerivano che il virus fosse stato creato in laboratorio sono stati bollati come complottisti, terrapiattisti e quanto altro, con tanto di censura, previa e successiva delle loro opinioni, ora a dire che forse è proprio così è nientemeno che l’Fbi, per bocca del suo direttore.
Non solo, anche Anthony Fauci, che ha guidato la task force Usa nella risposta alla pandemia, e di fatto quella globale (in accordo con Big Pharma) non è più inattaccabile. Si scopre, o meglio si conferma, che egli ha scientemente lavorato nel segreto per indurre la comunità scientifica a rigettare la tesi dell’origine artificiale del virus in favore di un suo sviluppo naturale.
Come riporta Dagospia egli avrebbe usato come mezzo di pressione nei confronti dei suoi colleghi la possibilità di conferire o meno fondi pubblici a ricerche e ricercatori, dal momento che a decidere della destinazione di questi era lui. E avrebbe usato tale “leva” per “distogliere l’attenzione dal laboratorio cinese [di Wuhan], dove si svolgevano ricerche sul coronavirus che egli stesso aveva personalmente autorizzato”.
Anche in questo caso si tratta di cose note. Se adesso possono essere dette, contrariamente da allora, è solo per un motivo geopolitico. Gli Stati Uniti hanno deciso di rompere gli indugi e di avviare una guerra ibrida contro la Cina, Così ora fa gioco addossare a Pechino la responsabilità della pandemia.
Il virus cinese?
Certo, c’è il piccolo problema rappresentato dall’autorizzazione di Fauci e dal fatto che egli abbia conferito a una società americana fondi per sviluppare un coronavirus modificato, tramite un guadagno di funzione, a Wuhan. Ma nel gioco della propaganda tali particolari verranno derubricati a secondari, assurgendo come principale argomento narrativo la colpevolezza di Pechino.
Proprio per quest’ultimo motivo tutta l’attenzione viene focalizzata su Wuhan, come se fosse l’unico bio-laboratorio esistente al mondo e l’unico in cui si sono svolti studi del genere. Ciò mentre restano avvolti nell’ombra più fitta le ricerche svolte nei biolaboratori ucraini (46 biolab…) gestiti da Kiev sotto la tutela Usa.
Come anche quelle svolte nei biolab siti negli Stati Uniti, il più importante dei quali, Fort Detrick, è stato chiuso per mesi a causa di una non meglio precisata perdita di laboratorio poco prima della pandemia (vedi New York Times, 5 agosto 2019 “La ricerca sui virus mortali viene chiusa nel laboratorio dell’esercito per problemi di sicurezza”).
Ma la realtà conto poco, anzi in molti casi, come ad esempio questo, nulla. Quel che conta è la narrativa che si può costruire su una vicenda. E in queste cose gli americani sono dei veri artisti. Hanno già coniato la formula del “virus cinese“, che presto potrebbe tornare in voga…