Elezioni Turchia: sogno neo-ottomano o il ritorno all'Occidente
Tempo di lettura: 2 minutiErdogan si è ripreso dal malore ed è riapparso in pubblico, presenziando a un evento dell’industria aerospaziale turca, dichiarando che il suo Paese è pronto per la conquista dello spazio. Insomma, ha gettato il cuore oltre l’ostacolo, immaginando che sarà ancora lui a guidare la Turchia in futuro.
Le variabili elettorali
Ma l’ostacolo c’è ed è rappresentato dalle elezioni del 14 maggio, il cui esito non è scontato. Come spiega Louis Fishman su Haaretz, i sondaggi arridono alle opposizioni, cioè al candidato alla presidenza Kemal Kılıçdaroğlu appoggiato, oltre che dal CHP (il partito popolare repubblicano), da altre cinque forze politiche, compreso il partito curdo, la terza forza del Paese.
Sostegno d’obbligo quest’ultimo, data la repressione scatenata dal sultano contro i curdi, che ha avuto come pendant il conflitto contro i curdi in Iraq e Siria. Ma, secondo Fishman, Kılıçdaroğlu potrebbe contare anche sul sostegno degli aleviti, ramo autoctono dell’islam e la più importante minoranza religiosa del Paese, a cui apparterrebbe “un quarto” della popolazione (tra turchi e curdi).
Minoranza anch’essa osteggiata, alla quale si è rivolto direttamente il candidato d’opposizione dichiarando la sua fede alevita.
A giovargli, secondo Fisherman, anche il fatto che in questa campagna elettorale si accompagni con i sindaci di Ankara e Istanbul, che nelle municipali del 2019 il suo partito strappò all’AKP di Erdogan (in caso di vittoria sarebbero vice-presidenti). E, soprattutto, lo scontento per la crisi economica, incrementata dal recente terremoto.
Fisherman traccia un ritratto idilliaco dell’oppositore, che si presenta come l’uomo della riconciliazione, capace di porre fine alle laceranti divisioni del Paese, e del ritorno della Turchia alla democrazia. Ma il fatto che egli abbia giurato che caccerà dal Paese i tanti rifugiati siriani fuggiti al vicino conflitto, omesso nell’articolo, stride un po’ con tale ritratto.
Spinte contrapposte
D’altronde, Ataturk, il padre della patria al quale Kılıçdaroğlu si rifà, aveva sì costruito una Turchia laica, ma difficilmente collocabile in ambito democratico. Quel che è certo la sua vittoria sarebbe gradita all’Occidente, avendo dichiarato il ritorno della Turchia nell’alveo delle direttrici Nato in caso di vittoria.
Si chiuderebbe così la navigazione in solitaria di Ankara avviata da Erdogan, che in nome di un ritorno ai fasti dell’Impero ottomano aveva rivendicato un’autonomia nazionale che l’ha portato a stringere rapporti anche con Cina e Russia, cosa che ha irritato l’Occidente.
Sono questi i nodi chiave di queste elezioni: subordinazione alla Nato o autonomia nazionalista; ritorno al kemalismo e alla sua laicità oppure continuità del sogno neo-ottomano di Erdogan e dell’islam come riferimento spirituale della nazione.
Sul punto riportiamo un cenno di un articolo di al Maydeen, che spiega perché la data fissata per le elezioni, 14 maggio, non è casuale. Infatti, “il 14 maggio 1950, il Partito Democratico (DP) guidato da Adnan Menderes, pose fine al regno ventennale del CHP” fondato da Atatürk,. “Menderes si è imposto grazie al suo tono populista e a un piano di sviluppo sociale che ha conquistato il cuore della maggioranza rurale turca, proprio come Erdogan”.
Infine, val la pena ricordare che Erdogan sta affiancando la spinta russo-cinese per una distensione mediorientale, che sta dando frutti (pace in Yemen, intesa Iran – Paesi sunniti, ritorno della Siria nell’ecumene arabo etc). Una spinta che suscita preoccupazione negli Stati Uniti e in Israele perché foriera di una nuova influenza di Mosca e Pechino nella regione e perché mette a rischio le lacerazioni alimentate in questi anni nell’area, volte a gestirne le contraddizioni, secondo il principio del divide et impera. La vittoria del suo antagonista potrebbe mettere a rischio questo processo, tanto delicato quanto cruciale.