Guerra ucraina: la svolta del 9 maggio
Tempo di lettura: 2 minutiLa Gran Bretagna ha inviato missili a lungo raggio all’Ucraina. In concomitanza, la conferenza stampa del ministro degli Esteri britannico James Cleverly e del Capo del Dipartimento di Stato Usa Tony Blinken, nella quale il primo ha dichiarato che Londra continuerà a sostenere Kiev “indipendentemente dal fatto che l’imminente offensiva abbia un grande successo […], perché fino a quando il conflitto non sarà risolto, e risolto correttamente, non è finita”. Blinken, ovviamente, si è detto “perfettamente d’accordo”.
Una svolta, perché sposta più in là le aspettative sulla guerra, il cui focus non è più sulla controffensiva. La conferenza stampa fatidica ha avuto luogo il 9 maggio, giorno in cui Mosca celebrava la vittoria sul nazismo. Potenza dei simboli.
Dal bliztkrieg alla guerra infinita
Il cambiamento di paradigma è evidente. Messi da parte i proclami sulla vittoria a breve grazie al fantasmagorico supporto Nato (“entro quest’anno“, annunciava trionfante Zelensky a inizio guerra), che erano evidentemente privi di fondamento nonostante siano stati fatti propri per mesi dalla leadership occidentale, i sostenitori di Kiev devono fare i conti con la dura realtà: il blitzkrieg vincente è impossibile.
Come le sanzioni, anche le armi Nato si sono rivelate meno magiche di quanto sostenuto da mercanti d’armi, media, analisti e politici di mezzo mondo. Anche Zelensky, attenendosi al nuovo copione, ha mutato narrativa, dichiarando che “l’Ucraina ha bisogno di più tempo per lanciare la tanto attesa controffensiva” (Kyivpost). Forse un depistaggio, ma il ridimensionamento delle aspettative c’è.
Allo stesso tempo, ha ribadito che essa avrà luogo, perché il pericolo più grande è un conflitto “congelato”, opzione sulla quale conta Mosca. In realtà non solo Mosca, dal momento che tale stallo è stato prospettato anche dal Capo degli Stati Maggiori congiunti americano, generale Mark Milley come esito più che probabile.
Il punto è che uno stallo prolungato, come aveva detto Milley, produrrebbe un cessate il fuoco, ripetendosi quanto accadde nel conflitto coreano. Ma non è questa la prospettiva delineata dai ministri degli Esteri suddetti.
La guerra deve continuare fino a quando non avrà l’esito sperato da Londra e Washington, cioè la vittoria sulla Russia. Ma dal momento che in una guerra contro una potenza nucleare la vittoria non può darsi, tale prospettiva delinea una guerra infinita.
Si ripete il copione iracheno
Non si tratta solo di prolungare l’agonia del popolo ucraino, il cui esercito viene decimato ogni giorno. Ma anche di ampliare a dismisura la gamma dei rischi insiti nel conflitto. L’invio dei proiettili all’uranio impoverito e quello, più pericoloso, dei missili a lunga gittata, lo dimostra.
Certo, gli ucraini hanno promesso che non bersaglieranno la Russia, ma è sciocco credere a tali rassicurazioni dopo gli attacchi in stile sabotaggio – terrorismo per Mosca – in pieno territorio russo e addirittura sul Cremlino. E se tali missili iniziano a cadere sui palazzi di Rostov? (Come reagirebbero i leader anglosassoni se dei missili prendessero di mira le loro città?).
In tale deriva Londra ha assunto il ruolo di mosca cocchiera, avendo per prima fornito a Kiev carri armati avanzati (i Challenger 2) e l’unica, finora, a inviare proiettili all’uranio impoverito e missili a lungo raggio.
Fu così anche per la guerra in Iraq, dove il premier britannico Tony Blair fece squadra con i neocon Usa per convincere il riluttante George W. Bush – fiaccato dall’11 settembre come ora Biden lo è dall’età e dagli scandali familiari – a invadere l’Iraq.
“Sull’Iraq io e Bush abbiamo sbagliato”, ammise successivamente Blair. Perseverare è diabolico.