“Meta ha avviato una task force per indagare su come la sua app di condivisione di foto Instagram faciliti la diffusione e la vendita di materiale pedopornografico. Il lavoro della società madre di Facebook è stato sollecitato da un rapporto dello Stanford Internet Observatory, che ha scoperto che grandi reti di account, in apparenza gestite da minori, in realtà pubblicizzavano apertamente materiale pedopornografico autoprodotto per venderlo”.
La pedofilia e i social
“I ricercatori hanno scoperto che acquirenti e venditori di materiale pedopornografico autoprodotto, collegati tramite la funzione di messaggistica di Instagram e gli algoritmi di Instagram che raccomandano siti, hanno reso più efficace la pubblicità del materiale illecito”. Così sul Washington Post di ieri.
“Ad aprile – prosegue il WP – il Guardian ha rilevato che una sua indagine durata due anni aveva scoperto che Facebook e Instagram erano diventati le piattaforme più importanti per acquistare e vendere bambini a scopo sessuale”.
“I ricercatori dello Stanford hanno affermato che la dimensione complessiva della rete di venditori varia tra 500 e i 1.000 account a seconda del momento. Aggiungendo di aver iniziato la loro indagine a seguito di un suggerimento del Wall Street Journal, che per primo ha dato conto dell’esito dell’inchiesta”.
Anche altri social sono usati allo scopo, come ad esempio Twitter, ma l’indagine ha scoperto che questa azienda ha una politica “più aggressiva” rispetto a questo crimine.
Cenno interessante perché a svelare l’arcano di twitter è stato Andrea Stroppa, un esperto italiano che Elon Musk ha chiamato a lavorare nel suo team di cybersicurezza, il quale ha spiegato che per il miliardario quella di contrastare la pedofilia online è stata la prima priorità dopo aver acquistato il social cinguettante.
In un’intervista, che consigliamo di vedere, ha spiegato che la precedente proprietà aveva una gestione, secondo lui, “da fuori di testa”: infatti, individuato un tweet di marca pedofila, si limitava a cancellarlo, nulla importando l’account dell’utente.
Di interesse anche quanto rileva il WSJ: “I ricercatori hanno scoperto che gli account pedofili su Instagram sono una miscela di sfacciataggine e dii superficiale lavorio per nascondere la propria attività. Alcuni emoji funzionano come una sorta di codice, come l’immagine di una mappa – abbreviazione di “minor-attracted person” – o quella di “cheese pizza“, che ha le stesse iniziali di “child pornografy“, secondo Levine di UMass”.
La pizza
Sul punto riportiamo un articolo del Daily Mail del 31 agosto 2020: “I pedofili usano emoji di formaggio e pizza per comunicare segretamente su Instagram, ha rivelato un’attivista per la protezione dei bambini. Il simbolo del formaggio giallo brillante significa bambina, mentre la pizza ai peperoni significa ragazza. Insieme compongono “CP”, che significa “child pornografy”.
“Nel momento in cui inizi a parlare di pizza e formaggio, tutti pensano che tu stia parlando di pizzagate”, ha detto l’attivista londinese India, che ha chiesto di essere identificata solo con il nome. “Ma ci sono migliaia di account che lo usano apertamente nelle biografie che vengono pubblicate su Instagram”.
Il riferimento al pizzagate del Daily Mail è a un asserito giro di pedofilia che sarebbe ruotato attorno a una pizzeria di Washington, al quale avrebbero partecipato persone dell’establishment statunitense. La vicenda emerse al tempo delle elezioni presidenziali del 2016, alimentata dai sostenitori di Trump e liquidata dai media mainstream come assurdità.
I sostenitori della tesi asserivano che dietro gli ordinativi di pizza pervenuti al locale si celavano traffici di bambini a scopo sessuale. Ma, ovviamente, non si indagò sulla vicenda e tutto fu liquidato come becero complottismo. L’emergere di quanto rivelato dallo Stanford Observatory quantomeno interpella sullo scandalo di allora, essendo evidenti alcune coincidenze.
Ma al di là delle coincidenze, ben più solido appare che quanto spiegava nel 2020 l’attivista al Daily Mail sui post di Istagram riguardanti la pizza è stato puntualmente riscontrato tre anni dopo dalla ricerca dello Stanford. Insomma, quella denuncia, e immaginiamo altre simili, è caduta nel vuoto nonostante avesse solido fondamento…
Tale inerzia, per usare un eufemismo, Insieme alla policy da “fuori di testa” di Twitter, evidenzia un deficit di sensibilità delle piattaforme social su tale crimine. Ci si chiede anche se la rilevazione di un account di marca pedofila faccia scattare indagini accurate o la pena sia solo la cancellazione dell’account medesimo. Data la proliferazione del fenomeno, temiamo che ci si limiti alla seconda cosa.
Possibile che vi sia un tale lassismo sul tema? Possibile. D’altronde la vigilanza su internet viene raccomandata in maniera ossessiva, da media e istituzioni, su questioni quali la disinformazione (russa et similia), le fake news e variazioni sul tema. Non risulta una pressione neanche lontanamente paragonabile per quanto riguarda la pedofilia, pur dilagante nel web. Un’elusione criminale.