La tregua Iran-Usa e il nuovo Medio oriente
Tempo di lettura: 3 minutiL’accordo Usa-Iran si avvicina, nonostante le pubbliche resistenze di Israele, che però, a causa della virata a destra del suo nuovo governo ha perso appeal oltreoceano, attirandosi anche le critiche di tanti ambiti ebraici americani.
A quanto pare l’intesa in questione non ha nulla a che vedere con il Joint Comprehensive Plan of Action, stipulato con Teheran dall’amministrazione Obama e dal quale gli Stati Uniti si sono disimpegnati sotto la presidenza Trump.
La ripresa del dialogo Usa-Iran
Il dialogo Usa-Iran, invece, sarebbe volto a raggiungere un accordo minimale, una sorta di tregua armata, che libererà definitivamente i beni iraniani congelati all’estero, darà luogo a scambi di prigionieri, molto simbolici in casi come questo, e dovrebbe attutire se non eliminare del tutto le sanzioni contro Teheran.
In cambio l’Iran si impegnerà a non arricchire ulteriormente l’uranio in suo possesso, in modo che non si avvicini alla fatidica soglia che lo rende capace di produrre bombe atomiche.
Lo spiega The Cradle, aggiungendo che di fatto Teheran non aveva affatto intenzione di varcare tale soglia e che la riapertura del negoziato con Washington, dopo un lungo stallo, è stata favorita da una campagna di informazioni errata.
Informazioni convergenti quanto false (come tali sono state poi certificate dall’Agenzia Atomica internazionale) hanno infatti fatto temere al mondo che Teheran fosse arrivata quasi a fabbricare la bomba.
Una campagna che ha avuto il suo momento più alto con l’intervento del Capo degli Stati Maggiori Usa Mark Milley, che ha confermato il pericolo.
In un’audizione al Congresso, infatti, Milley, ha dichiarato che l’Iran aveva quasi raggiunto la soglia nucleare: dato il materiale arricchito e il livello di arricchimento, in sole due settimane avrebbe potuto produrre una testata atomica.
O la guerra o l’accordo
The Cradle annota come gli Usa abbiano tentato in vari modi di piegare l’Iran perché si fermasse, ma senza esito (al sequestro di una petroliera iraniana, Teheran ha risposto con il sequestro di un’analoga nave americana).
Certo, gli Usa avrebbero potuto “imporre sanzioni più severe o alimentare disordini all’interno dell’Iran. Tuttavia, è importante ricordare che tutte queste opzioni sono state precedentemente esplorate senza indurre un cambiamento significativo nel ‘comportamento’ di Teheran”. Così non c’era alternativa: o la guerra o “accettare la nuova realtà”.
A quanto pare hanno accettato la nuova realtà. Possibile che ci siano accordi ancora più segreti tra le parti di quelli accennati in precedenza. Un indizio lo fornisce l’ABC news che riporta: la polizia albanese “ha fatto irruzione in un campo del gruppo di opposizione iraniano in esilio Mujahedeen-e-Khalq [MEK ndr] per sequestrare 150 computer, presumibilmente collegati ad attività politiche vietate”.
Il MEK è da tempo una spina nel fianco di Teheran; collegato all’intelligence Usa e israeliana (che lo sostengono e lo finanziano), il MEK ha messo a segno diversi attentati sul suolo iraniano e ha alimentato diverse insurrezioni interne, compresa l’ultima innescata dalla morte di Mahsa Amini, la cosiddetta rivolta del velo.
Probabile che Teheran abbia chiesto la fine dell’assistenza a tale organizzazione e ciò spiegherebbe l’inusitato blitz albanese, impensabile fino a poco tempo fa a motivo delle coperture di cui gode.
Il nuovo Medio oriente
Insomma, tanto sta cambiando in Medio oriente, come segnala anche l’ultima novità: nel corso della visita a Teheran del ministro degli Esteri saudita, Faisal bin Farhan Al Saud, avvenuta il 17 giugno, quest’ultimo ha sottolineato le potenzialità di cui è foriera la recente distensione tra i due Paesi, aggiungendo l’importanza della cooperazione tra Riad e Teheran “per garantire la sicurezza marittima“. Le autorità iraniane avevano lanciato l’idea di creare un’alleanza navale con i Paesi del Golfo. I sauditi, a quanto pare, sono favorevoli all’ipotesi.
Non solo l’Iran. Un altro tassello del nuovo mosaico mediorientale è arrivato dall’Egitto, che ha chiesto di aderire ai BRICS. Se ciò avvenisse, praticamente tutti i Paesi più importanti del Medio oriente, esclusa Israele, farebbero parte di tale organismo; un quadro che favorisce ancor più la distensione regionale.
Per concludere, val la pena ricordare la recente visita del presidente della Palestina Abu Mazen in Cina, con Pechino che ha pubblicamente ribadito il suo favore per la nascita di uno Stato palestinese.
Nonostante la notizia sia passata sotto silenzio, la visita ha un significato storico. Da anni il presidente della Palestina è trattato alla stregua di un fantoccio insignificante. A Pechino ha ricevuto gli onori di un capo di Stato. Visita storica, appunto.