Niger: il golpe che ha fatto notizia
Tempo di lettura: 4 minutiIl golpe in Niger è notizia di prima pagina. La destituzione del presidente Mohamed Bazoum da parte dei militari ha suscitato le ire di mezzo mondo, che ha condannato l’attentato alla democrazia e l’instaurazione di un regime autoritario. Nulla che non sia condivisibile in linea teorica.
I golpe africani made in USA
Il punto critico è però l’ipocrisia dispiegata in questa ferma presa di posizione a favore della democrazia del Niger, dal momento la Francia, la più interessata. e quindi più aspra nella condanna, da tempo immemorabile usa di questo Stato africano come una colonia, come d’altronde degli altri Paesi della Françafrique.
Il presidente Emmanuel Macron ha anche ventilato l’ipotesi di un intervento militare, forse ricordando i bei tempi della guerra d’indipendenza algerina (1954-’62) e dei massacri indiscriminati compiuti dalle forze transalpine nell’allora colonia.
Anche Tony Blinken ha dichiarato il “sostegno incrollabile” degli Stati Uniti al presidente deposto, usando una formula assertiva presa in prestito dalla narrativa della guerra ucraina. Ciò vuol dire che Africom, il Comando delle forze statunitensi per l’Africa, è in allerta.
Ma, ovviamente, nel caso in cui la situazione precipiti, non saranno i soldati francesi e americani a morire. L’Africa ha una lunga storia sanguinaria di colpi di Stato gestiti dall’Occidente, che nel migliore dei casi hanno comportato repressioni violente, nel peggiore guerre.
Per fare un piccolo esempio, pubblichiamo l’incipit di un articolo di The Intercept del 9 marzo 2022: “Ufficiali addestrati dagli Stati Uniti nell’ultimo anno e mezzo hanno dato vita a sette colpi di stato in Africa, tra riusciti e non,. […] Il giornalista investigativo Nick Turse descrive nel dettaglio il coinvolgimento degli Stati Uniti nelle vicende del continente africano. Ufficiali addestrati dagli Stati Uniti hanno tentato molti colpi di stato in cinque paesi dell’Africa occidentale: in Guinea, Mauritania e Gambia una volta e ben tre volte sia in Burkina Faso che in Mali”.
Per i dettagli rimandiamo all’articolo di The Intercept. Si può notare che, mentre il golpe in Niger ha fatto scalpore sui media occidentali, quelli made in USA sono in genere riferiti tra le note a margine. E fanno capire quanto gli Usa abbiano a cuore la democrazia dei Paesi africani.
Nulla importando della democrazia, il punto dolente della vicenda sono i tanti interessi che s’intrecciano nel Niger – crocevia di lucrosi traffici e uno dei più importanti produttori di uranio al mondo – che sono messi repentaglio dal rivolgimento politico.
Ma al di là del particolare, va segnalato che, forte anche della condanna occidentale, l’Ecowas. la comunità degli Stati dell’Africa occidentale, ha intimato ai golpisti di ripristinare l’ordine costituzionale pregresso, riportando al potere il presidente deposto entro una settimana, ventilando la possibilità di un intervento armato.
Le solite accuse alla Russia
A margine va registrato che il colpo di Stato in Niger ha avuto luogo proprio mentre la Russia ospitava il vertice russo-africano, tanto che diversi media hanno annotato la coincidenza come prova di un coinvolgimento di Mosca. Il fatto che la popolazione abbia dato vita a manifestazioni pro-Russia presso l’ambasciata francese sarebbe una conferma di tali sospetti.
In realtà, la Russia è rimasta spiazzata dall’accaduto, come denota la reazione cauta di Mosca, che in un comunicato ha auspicato moderazione e il ripristino della legalità (Reuters). Anzi, il golpe ha avuto un effetto negativo per Mosca, oscurando il summit con i leader africani. Se proprio avessero spinto in tale direzione, avrebbero aspettato qualche giorno in più.
Detto questo, è probabile che gli autori del colpo di stato si sentano portatori delle istanze del popolo contro il neocolonialismo francese e abbiano forzato la mano sperando in un ausilio postumo di Mosca, che però non è arrivato (almeno al momento). E che la mano russa sia stata paventata per criminalizzare ulteriormente i golpisti e far scattare la solidarietà occidentale contro di essi.
D’altronde accusare la Russia di manovre oscure è un esercizio facile e usuale, basti pensare al recente conflitto sudanese, purtroppo ancora in corso, nel quale si disse con ossessione che dietro gli insorti c’era la mano russa tramite i mercenari della Wagner.
Tutto falso, come dichiarò il ministro degli Esteri sudanese – che rappresentava il governo in conflitto con i ribelli – agli ambasciatori di Stati Uniti, Gran Bretagna e Norvegia, che avevano appunto denunciato le trame di Mosca.
Tali menzogne, aveva aggiunto il ministro, rappresentavano una “palese interferenza” negli affari interni del Sudan e avevano lo scopo di trascinare il Paese a schierarsi nella guerra ucraina (Africanews).
Certo le manifestazioni pro-russe nelle piazze nigerine sono innegabili, ma è altrettanto innegabile che in Africa si sia diffuso un sentimento di simpatia verso Mosca, percepita da tanti come una forza che si oppone ai vecchi padroni neo-coloniali. Né è possibile pensare che il popolo del Niger abbia spiccate simpatie per la Francia.
Al netto degli scenari, resta, però, che l’irrigidimento dell’Occidente e dell’Ecowas può innescare una nuova guerra africana, forse ancora più sanguinosa di quella che si sta consumando in Sudan.
Domenica è giunto in Niger Mahamat Idriss Déby, per aprire un dialogo con i golpisti e cercare una soluzione pacifica. Una mediazione chiesta dall’l’Ecowas, che ha scelto per tale missione il presidente ad interim del Ciad perché figura terza, non appartenendo il suo Paese alla Comunità degli Stati dell’Africa occidentale.
Da notare che anche Déby è giunto al potere e lo conserva (ad interim dall’aprile del 2021…) al di fuori di una legittimità democratica, essendo succeduto al padre, deceduto in battaglia, al posto del legittimo successore, il presidente del parlamento Haroun Kabadi.
Lo sottolineiamo non tanto per muovere una critica a Déby, al quale auguriamo che abbia successo nella sua missione (se essa ha davvero lo scopo di evitare una guerra), quanto per segnalare come il concetto di democrazia sia alquanto relativo quando in gioco ci sono interessi geopolitici.