Senato della Nigeria: no all'intervento in Niger
Tempo di lettura: 3 minutiIl Senato della Nigeria si è opposto alla richiesta del presidente Bola Tinubu di autorizzare un intervento contro il Niger. Un colpo di scena che per il momento ha dissipato i venti di guerra che soffiano forti sul Shael, ma che non placa le tensioni.
Ieri è scaduto l’ultimatum inviato dall’Ecowas (la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale) alla giunta nigerina perché ripristinasse la situazione precedente al golpe del 26 luglio, riportando al potere il presidente deposto Mohamed Bazoum.
L’Ecowas, che, oltre a comminare sanzioni in combinato disposto con Ue e Stati Uniti, aveva minacciato l’intervento armato, si trova ora in ambasce, dal momento che senza la Nigeria, che ha l’esercito più potente dell’organizzazione, la minaccia non può concretizzarsi.
Ma il Niger non si fida, tanto che alla scadenza dell’ultimatum ha chiuso i cieli, paventando bombardamenti. Se guerra sarà, sarà guerra su larga scala perché Mali e Burkina Faso hanno dichiarato che difenderanno Niamey e Abdelmadjid Tebboune, presidente dell’Algeria (che ha l’esercito più potente della regione), ha detto che un intervento sarebbe considerato “una minaccia diretta” contro il suo Paese.
L’asserita democrazia di Bazoum
L’Africa occidentale precipiterebbe in un caos che l’affliggerebbe per i decenni a venire e dal quale forse non ne uscirebbe più. Né l’Europa rimarrebbe indenne, dal momento che sarebbe investita da uno tsunami di disperati in fuga dalla guerra e dalle sue nefaste conseguenze.
Tutto ciò in nome della democrazia, dicono nelle cancellerie occidentali, ma anche per contrastare l’influenza russa in Africa. In realtà, della democrazia africana importa nulla all’Occidente: ironia della sorte vuole che solo una settimana fa il Senegal sia stato teatro di un golpe occultato dai media: il leader dell’opposizione Ousmane Sonko è stato arrestato e l’accesso a internet limitato. E il governo del Senegal è il più ansioso di inviare le sue truppe contro il Niger…
E anche sull’asserita democrazia nigerina, di cui Bazoum sarebbe simbolo, pesano non poche ombre. Così Stephanie Savell su Responsible Statecraft: “Quando ho visitato il Niger a gennaio […] era chiaro che il paese era ben lungi dall’essere un modello di democrazia”.
“Secondo diverse fonti, il governo aveva stabilito ‘misure di emergenza’ in alcune regioni, che autorizzavano le forze di sicurezza a sparare a chiunque si muovesse in motocicletta – il veicolo simbolo dei militanti islamisti – e contro chiunque violasse il coprifuoco. Inoltre, il governo del Niger ha contrasto duramente la pacifica opposizione politica: ho incontrato molti giornalisti e attivisti del movimento di opposizione che avevano subito il carcere, provvedimenti legali e altre forme di abusi volti a silenziarli”.
Al netto sulla retorica pro-democrazia, il problema resta contrastare la Russia. L’ennesima macelleria africana avrebbe solo questo scopo, sarebbe solo una guerra per procura contro Mosca giocata sulla pelle degli africani.
E dire che, fino a ieri, nelle vicende nigerine i russi non c’entravano nulla. I media occidentali, infatti, per dimostrare la mano di Mosca dietro il rivolgimento, si erano affannati a dire che era stata la Wagner ad aiutare i golpisti.
Ma la Wagner non era nel Paese, dove anzi sono di stanza truppe francesi e americane. È stata contattata ieri, allo scadere dell’ultimatum, dal governo nigerino in cerca di aiuto contro la marea montante.
Non solo la Wagner: ieri si sono succedute manifestazioni di massa in favore della nuova giunta, che denotano un sostegno popolare che si registra in ben pochi Stati africani. Se sarà necessario, hanno detto tanti dei convenuti, sono pronti a difendere la loro libertà. “Ogni cittadino è un potenziale soldato”, ha detto Maikoul Zodi coordinatore del movimento “Tournons la page NIger”.
C’è forse eccessiva enfasi dietro queste parole, ma vanno registrate per dare un quadro di quanto sta avvenendo. E per capire di più, vale forse la pena di rileggere la storia di Thomas Sankarà, il ragazzo che, avendo preso il potere con un golpe, ebbe la sfrontatezza di sfidare i padroni ex coloniali e cambiare il suo Paese, il Burkina Faso, al quale diede il nome africano che ancora lo connota, come un lascito non rinnegato (prima si chiamava Alto Volta). Non per nulla il Burkina Faso è stato il primo Stato a sostenere i rivoltosi di Niamey (a Sankarà abbiamo dedicato due articoli, ai quali rimandiamo: cliccare qui e qui).
Ad oggi le forze frenanti stanno avendo la meglio sui costruttori di guerra, ma il futuro resta incerto. Francia, Stati Uniti e Gran Bretagna, per diverse ragioni, non si rassegneranno facilmente a perdere il Niger.