L'Arabia Saudita e la primavera araba
Tempo di lettura: 2 minutiUn’interessante analisi sulla Primavera araba è apparsa in un articolo pubblicato sulla Stampa del 23 luglio, nel quale si legge: «Non hanno sparato un solo colpo, non hanno concesso nessuna sostanziale riforma, non credono nella democrazia comunque declinata e sono interessati solo all’aspetto tecnologico della modernità. Sono stati appena sfiorati dal vento delle intifadas che hanno scosso il mondo arabo, eppure sono quelli che ne hanno tratto il maggior vantaggio politico-strategico.
Nel corso degli ultimi dieci anni, i loro nemici e rivali – da Saddam Hussein agli Assad ad al Qaeda – sono stati sconfitti o drasticamente ridimensionati. Hanno rafforzato la propria egemonia sulla penisola arabica, trasformando il Consiglio di Cooperazione del Golfo in una vera e propria alleanza rivelatasi decisiva per schiacciare la rivolta sciita in Bahrein e per trovare una soluzione alla guerra civile yemenita. Hanno enormemente accresciuto il proprio ruolo nella Lega Araba e mantenuto la posizione centrale nell’Organizzazione della Conferenza Islamica da loro stessi creata nel 1970 proprio come contraltare della prima. Hanno visto estendere la propria influenza in tutto il mondo arabo attraverso il finanziamento a milizie, movimenti e partiti salafiti, che si ispirano alla concezione iper-tradizionalista dell’islam wahabita. Sono secondi solo a Israele per la forza della propria lobby a Washington, in grado di ottenere dagli Stati Uniti sistemi d’arma che l’Egitto di Mubarak non poteva neppure sognarsi e continuano ad avere ottime relazioni politico-militari con il Regno Unito, loro antico protettore (…).
Il denaro saudita (e qatariota) è notoriamente quello che consente ai ribelli siriani di resistere da oltre 16 mesi contro uno dei più potenti eserciti della regione, così come i loro aiuti economici hanno consentito ai salafiti egiziani di ottenere la seconda posizione nel Parlamento ora disciolto e a quelli tunisini di fare il loro (rumoroso) “debutto in società”. Come Venezia, infine, anche la monarchia saudita è resiliente, ma proprio per questo estremamente difficile da riformare, perché per farlo occorrerebbe innanzitutto la sua trasformazione da “azienda familiare” a “Stato moderno”. La cassaforte di idrocarburi sulla quale i Saud sono seduti rende molto più semplice continuare così, almeno per ora, “comprando” il consenso dei sudditi, piuttosto che tentare la rischiosa via di riforme liberalizzanti.
L’esito della rivoluzione siriana è particolarmente cruciale per i Saud. La caduta del regime di Damasco implicherebbe infatti la spaccatura di quell’”arco sciita” che dall’Iran, attraverso l’Iraq e, appunto la Siria, arriva fino alle coste del Libano di Hezbollah».