L'ex capo del Mossad denuncia l'apartheid israeliano
Tempo di lettura: 2 minutiIn Israele “c’è uno status di apartheid. Un territorio nel quale due persone vengono giudicate secondo due sistemi giuridici diversi è uno stato di apartheid”. Questa affermazione giunge da una voce del tutto inattesa, l’ex capo del Mossad Tamir Pardo, e da una fonte altrettanto inattesa, avendo Pardo rilasciato tali dichiarazioni nel corso di un’intervista all’Associated Press il 6 settembre.
Come annota l’Ap, l’ex capo del Mossad non è il solo esponente dell’establishment israeliano ad ammonire sul tema. Infatti, riferisce l’agenzia di stampa americana, “alcuni ex leader politici, diplomatici ed esponenti della Sicurezza israeliani hanno avvertito che Israele rischia di diventare uno stato di apartheid, ma il linguaggio di Pardo è stato ancora più schietto”.
Pardo, infatti, ha voluto aggiungere che le sue affermazioni sul rapporto tra Israele e i palestinesi “non sono estreme. È un fatto“.
Come riferisce l’Ap, l’ex capo dell’intelligence israeliana è stato duramente criticato da alcuni esponenti politici israeliani, con toni anche molto accesi.
Goldberg e l’appello del mondo ebraico contro l’apartheid
L’affermazione di Pardo non giunge certo nuova. Tante le denunce in tal senso da parte dei palestinesi e di alcune autorevoli organizzazioni internazionali (vedi ad esempio il report di Amnesty International).
Più di recente, ha fatto il giro del mondo una polemica nata in Germania, ma di respiro internazionale. “L’apartheid è la nostra realtà in Israele” titolava un articolo della Frankfurter Allgemeine del 23 agosto a firma di Amos Goldberg, uno dei più importanti studiosi dell’Olocausto presso l’Università Ebraica di Gerusalemme.
Questo l’incipit dell’articolo: “Felix Klein, commissario per l’antisemitismo del governo federale [tedesco], ha recentemente affermato, durante un’interessante intervista con l’esperta tedesca del Medio Oriente Muriel Asseburg, che chiunque accusi Israele di apartheid delegittima lo Stato ebraico. E che questa è una narrazione antisemita. La tesi è discutibile. Perché se Felix Klein avesse ragione, alcuni dei più noti studiosi dell’Olocausto e dell’antisemitismo di Israele, dell’America, dell’Europa e dal mondo intero sarebbero antisemiti”.
“Infatti, una petizione pubblicata di recente e co-sponsorizzata da Omer Bartov, uno dei più rispettati studiosi dell’Olocausto e del genocidio [degli ebrei], afferma che ‘non può esserci democrazia per gli ebrei in Israele finché i palestinesi vivono sotto un regime di apartheid […]’. La petizione è stata firmata da più di 1.900 scienziati, per lo più ebrei e israeliani, tra cui Saul Friedlander, Shulamit Volkov, Eva Illouz, Dan Diner e Christopher Browning”.
Sempre in Israele, anche Haaretz ha pubblicato diversi articoli che ammonivano su tale deriva. Citiamo, tra i tanti, quello di Benjamin Pogrund dello scorso 10 agosto, dal titolo: “Per decenni ho difeso Israele dalle accuse di apartheid. Non posso farlo più”.
Tanti in Israele rigettano tali accuse, ma quanto riferiamo segnala che sia in Israele che nel più ampio ambito ebraico internazionale il tema è sentito e partecipato come forse mai prima d’ora. Come denota anche l’articolo di Pogrund succitato, il nuovo governo israeliano, il cui estremismo ha suscitato reazioni fortissime in ambito ebraico, ha provocato il crollo del muro contro il quale s’infrangevano le denunce pregresse. Se ciò porterà anche al crollo del muro che divide israeliani e palestinesi è tutto da vedere. Tempi lunghi, esito più che incerto.