12 Settembre 2023

Le armi coreane ai russi e le oscure minacce di Zelensky

Kim Jong un e Putin a Vladivostok. Le minacce di Zelensky hanno ottenuto molto più clamore dell'incontro di Vladivostok
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L’incontro tra Vladimir Putin e Kim Jong-un a Vladivostok è al centro dell’attenzione internazionale e della riprovazione occidentale, perché la Corea del Nord rifornirà in modo massivo la Russia di munizioni e armamenti e Pyongyang riceverà il contraccambio, rafforzando una nazione che da anni gli Stati Uniti identificano come “Stato canaglia”, cioè come minaccia alla sicurezza internazionale.

Sul punto un interessante osservazione di Anatol Lieven su Responsible Statecraft: “Dovremmo chiederci: cosa si aspettava esattamente che accadesse l’amministrazione Biden come risultato delle sue azioni?”

L’arsenale della Corea del Nord

“Questa primavera, Washington ha esercitato forti pressioni sul governo della Corea del Sud perché fornisse all’Ucraina armi e munizioni, sebbene Seoul avesse espresso molto chiaramente la propria riluttanza a farlo. Alla fine è stato raggiunto un compromesso: la Corea del Sud non avrebbe rifornito direttamente l’Ucraina, ma avrebbe ‘prestato’ a Washington 500.000 proiettili di artiglieria per ricostituire le sue scorte, consentendo così agli Stati Uniti di trasferire una quantità analoga di proiettili all’Ucraina”.

“Non è necessario provare una qualche simpatia per i russi per vedere questo distinguo come fittizio. Nessuno nella CIA, nel Pentagono o nel Dipartimento di Stato ha avvertito la Casa Bianca che ciò avrebbe probabilmente portato a un accordo sulla fornitura di armi tra Russia e Corea del Nord?”

Insomma, la lamentele di Washington suonano affatto vuote, come esplicita il titolo dell’articolo citato. E se, inoltre, quanto sta avvenendo pone fine all’isolamento internazionale imposto da tempo alla Corea del Nord (grazie a una convergenza Stati Uniti – Russia – Cina che non ha altri esempi al mondo), gli Usa devono solo incolpare i loro strateghi politici, che hanno consegnato ai loro nemici un nuovo asso da giocare sul tavolo della geopolitica globale.

Già, perché se la Corea del Nord è un Paese piccolo, il suo apparato militar-industriale è uno dei primi al mondo. Riportiamo da Military Watch: “La Corea del Nord ha uno dei settori della difesa più vasti e diversificati al mondo e in molti campi produce armamenti che superano i loro equivalenti russi o, in alcuni casi, non hanno equivalenti”.

“La posizione delle industrie della difesa dello stato dell’Asia orientale rispetto a quelle russe è migliorata notevolmente negli ultimi 30 anni, e in particolare nell’ultimo decennio, tanto che attualmente c’è un’ampia gamma di armamenti che potrebbero interessare la Russia, soprattutto in questo tempo di guerra”.

Non solo munizioni di ogni tipo, anche droni di ricognizione con capacità analoghe ai MQ-4 Triton e agli MQ-9 Reaper, fiore all’occhiello dell’Us Army,, missili di precisione analoghi ai micidiali Iskander russi oltre ai 1000 carri armati T-62 modernizzati che stazionano nelle sue riserve e tanto altro. Tutti armamenti compatibili con quelli russi, avendo basi tecnologiche analoghe, particolare che ne rende facile l’uso da parte delle forze di Mosca.

Non si tratta di esaltare il potenziale bellico coreano né di incensare la scaltrezza dei russi nel compiere tale passo, solo di evidenziare che tale accordo pone un’altra criticità alle già labili speranze ucraine di vincere questa guerra, che lo stesso Zelensky ha recentemente riconosciuto che non avrà “un lieto fine“.

Le minacce di Zelensky

Un cenno significativo quello del presidente ucraino, che ha accompagnato con gli usuali proclami sull’impossibilità di trattare con il nemico e sull’imperativo di vincere a tutti i costi. Ciò nonostante abbia riconosciuto che la controffensiva non va come avrebbe dovuto, che tante sono le vittime ucraine e che la superiorità aerea del nemico frena lo slancio delle sue forze.

C’è un’involuzione tragica nel discorso del presidente ucraino, che vede sgretolate le sue ambizioni, ma rilancia. Un po’ come avvenne per Hitler, che dal riparo del suo bunker di Berlino (anche Zelensky vive in un bunker), continuava a coltivare la speranza di rovesciare le avverse sorti della fortuna.

Il paragone può suonare offensivo, come offensivo potrebbe apparire il cenno alla lucida follia del suddetto. Ma non sembra affatto inappropriato se si legge quanto il sedicente alfiere della libertà dell’Occidente ha dichiarato all’Economist. In un’intervista fiume rilasciata al magazine britannico, dice di percepire che gli alleati si stanno allontanando, abbandonando il suo Paese – altro sintomo del nervosismo di cui è preda – e mette in guardia da tale sviluppo, che consegnerebbe la vittoria a Putin.

Fin qui tutto secondo copione, poi l’agghiacciante riferimento ai tanti rifugiati ucraini sparsi per l’Europa: “Finora si sono comportati bene e sono grati per l’aiuto ricevuto, ma non sarà una bella storia se queste persone saranno messe in un angolo”.

Un’esplicita minaccia. E se si tiene conto delle capacità e della determinazione delle reti ucraine – dagli attentati in territorio russo alle liste di proscrizione del sito Myrotvorets (che elenca i nemici da eliminare in tutto il mondo) – si intravede anche il tipo di minaccia implicito nelle parole di Zelensky: terrorismo.

Non era difficile da prevedere, date le devianze del battaglione Azov e di altri movimenti estremi che abitano l’Ucraina, oggi più armati che mai – di armi anche nostre – e forgiati nel sangue di una guerra vera. E come dai combattenti per la libertà afghani, i mujaheddin, nacque al Qaeda, così quest’altra guerra per procura contro la Russia ha incubato un altro mostro, pronto a scatenarsi contro quanti l’hanno alimentato.

Ma la minaccia del Bin Laden di Kiev non interessa tanto l’establishment europeo che ha contribuito a creare questo mostro per connivenza, servilismo o paura dei padroni d’oltreoceano, piuttosto i popoli del Vecchio continente, trascinati con la forza e l’inganno in questo tunnel oscuro (ci torneremo sulla prossima nota) .

Connivenza, paura e servilismo che spiegano l’altrettanto agghiacciante silenzio dell’establishment suddetto riguardo le dichiarazioni inaccettabili del leader ucraino, peraltro del tutto stridenti con l’ausilio dato ai rifugiati e inviato a Kiev.