Il possibile impeachment di Biden
Tempo di lettura: 4 minutiLa richiesta di impeachment di Biden da parte del presidente della Camera Kevin McCarthy, del partito repubblicano, non è un fulmine a ciel sereno. Arriva dopo anni di accuse contro il presidente americano, alimentate da diuturne rivelazioni sul figlio Hunter, che più volte hanno sfiorato, e non solo sfiorato, il canuto padre.
Ignatius vs Biden
Non è per coincidenza che l’avvio della pratica da parte di McCarthy giunga insieme all’articolo di David Ignatius che chiede al presidente di cedere il passo ad altri. Penna più che autorevole quella di Ignatius, come spiega John Schindler sul Washington Examiner, che dettaglia i rapporti del cronista del Washington Post con la Cia (un “segreto di pulcinella”, secondo il cronista).
“Per decenni, Ignatius – scrive Schindler – ha coltivato uno stretto rapporto con la comunità dell’intelligence, in particolare con la Central Intelligence Agency. È risaputo nei circoli della spectre che Ignatius è stato a lungo portavoce non ufficiale della CIA. I suoi articoli sul Post costituiscono la guida migliore su ciò che sta accadendo a Langley rispetto ai comunicati stampa ufficiali della CIA”.
“Quando Ignatius commenta questioni di intelligence, come fa spesso, è la leadership di Langley, quello che le spie chiamano ‘il settimo piano’, a parlare”. Nota scritta da uno che sa di cosa parla, perché Schindler ha prestato servizio presso la National Security Agency come analista senior dell’intelligence e come ufficiale del controspionaggio.
McCarty, per parte sua, è uomo di establishment, quell’ambito repubblicano che da sempre sui temi sensibili – politica estera, finanza etc – si muove in convergenza con l’establishment del partito formalmente opposto, tanto che i media e i pensatori non mainstream d’America usano parlare di “unipartito“.
L’US Uniparty per l’impeachment
Da tempo tra l’oligarchia liberal del partito democratico c’è la convinzione che Biden è troppo vecchio e troppo compromesso per la corsa alle presidenziali. Tanto che rischierebbe addirittura di perdere in un eventuale scontro contro Trump, sempre che il tycoon riesca ad arrivare libero e vivo alle elezioni, cosa che sarà sempre più difficile man mano che si approssimano. E sempre che gli antagonisti, interni ed esterni al suo partito, non riescano a dichiararne l’ineleggibilità.
A preoccupare l’unipartito non è solo il rischio di perdere le elezioni, ma anche quello di concedere all’anziano patriarca il secondo mandato che, come noto, lascia ai presidenti una maggiore libertà, essendo liberi dagli oneri della rielezione.
In fondo, Biden non è stato del tutto prono ai diktat dell’unipartito: nella guerra ucraina ha assecondato più o meno tutto, ma ha anche tentato di frenare le pressioni più feroci dei falchi di ambedue i partiti, che premono per un più duro ingaggio americano col rischio di dare avvio a una guerra termonucleare con i russi.
L’unipartito teme che, se rieletto, Biden possa continuare su questa linea e anzi, con la maggiore libertà a lui accreditata dal secondo mandato, possa incrementare le spinte frenanti, ponendo criticità alla guerra per procura alla Russia.
Non solo, Biden ha frenato sul confronto con la Cina, come gli rimproverano praticamente ogni giorno sia i falchi repubblicani che quelli democratici, e ha il gravissimo torto di aver posto fine alla guerra infinita in Afghanistan, portando a compimento quanto deciso da Trump al termine del suo mandato. E soprattutto ha avviato un appeasement, seppur tacito, con l’Iran, cosa imperdonabile agli occhi dei falchi per i quali Teheran delenda est.
Non stiamo difendendo l’indifendibile, dal momento che la presidenza Biden è stata una presidenza belligerante come e peggio di altre. E, però, non quanto avrebbero voluto i falchi in questione, che vorrebbero un presidente pronto a dare fuoco al mondo (si ricordi la battuta di Trump su Bolton: se l’avessi ascoltato “ora saremmo nella sesta guerra mondiale”).
Insomma, la richiesta d’impeachment di McCarty e la spinta dell’oligarchia democratica corrono insieme, l’una rimanda all’altra in una manovra a tenaglia che sembra dover schiacciare il presidente.
I trumpiani e il destino di Biden
Anche perché i repubblicani del Maga, quel variegato ambito che si riconosce in Trump, non può che assecondare tale spinta, avendo per anni accusato Biden delle peggiori nefandezze. Così, volenti o nolenti, rischiano di fare il gioco dei loro nemici, in particolare quell’oligarchia del partito democratico che vuole far correre alle presidenziali un nuovo puledro, che dovrebbe assicurargli la vittoria, resa più facile dalla loro ben oliata macchina elettorale
A prendere il posto di Biden non sarà, però, la povera Kamala Harris, bocciata anche dallo scritto di Ignatius, di cui Biden ha distrutto l’immagine fin dall’inizio del suo mandato, inviandola a gestire la patata bollente della crisi dei migranti al confine meridionale, dove non è mai andata. Da lì è iniziato il calo della sua popolarità iniziale, che aveva portato mezzo mondo a magnificare le sorti di un’amministrazione Biden – Harris che non si è mai realizzata. Peraltro, la donna ha fatto di tutto per distruggersi da sola, palesando un’incompetenza e una mancanza di lucidità non comuni.
Così ai democratici servono alternative e una di queste sembra essere tal Gavin Newson, come preconizzato da tempo da Tucker Carlson, autorevole anchorman anti-establishment di ambito repubblicano che aveva previsto la decisione dei democratici di far fuori il geriatrico presidente,
All’ambito trumpiano non resta che sperare che l’agonia di Biden sia più lunga possibile, anzi che arrivi a fare la sua corsa, dal momento che sarebbe il competitor più facile da battere per un candidato repubblicano.
Ciò per via della sua palese senilità, per gli scandali che lo perseguitano, ma anche perché contro Biden possono essere riversate accuse su provvedimenti di politica interna ed estera che un altro cavallo democratico può eludere.
Biden resiste, ha dalla sua parte del partito dem e degli apparati, che vedono in lui il male minore e non sono convinti dei possibili successori proposti, la cui evanescenza potrebbe mettere a rischio la vittoria. Vedremo.