20 Ottobre 2023

Invadere Gaza ed eradicare Hamas: sfide ardue

Colpita la chiesa greco-ortodossa di San Porfirio. I dubbi sull'invasione via terra, che però appare inevitabile.
L'antica chiesa di San Porfirio. Invadere Gaza, sfida ardua per Israele
Tempo di lettura: 4 minuti

Prosegue il diluvio di fuoco su Gaza. Colpita anche la chiesa greco ortodossa di San Porfirio, che deve il suo nome al vescovo che fu eletto alla sede episcopale di Gaza alla fine del IV secolo e al quale il vescovo di Gerusalemme affidò le reliquie della Santa Croce.

Nella tempesta attuale, la chiesa aveva dato rifugio agli sfollati e ora si contano 11 vittime. Durissimo il comunicato del Patriarcato ortodosso di Gerusalemme, che ha definito l’attacco alla chiesa un “crimine di guerra” (Avvenire). Vox clamantis in deserto: nessun leader occidentale ha detto o dirà nulla. Undici danni collaterali tra i tanti.

Intanto si approssima l’offensiva di terra. Poche illusioni sul punto: avendo richiamato alle armi 300mila soldati, tra effettivi e riservisti, nessuno dirà loro di tornarsene a casa. Semplicemente si sta ritardando perché prima deve finire la prima fase, quella dei bombardamenti, per limitare le vittime militari dell’incursione via terra. E per trattare nel segreto, sugli ostaggi e tanto altro.

Ma la sospensione serve soprattutto a mettere a punto una strategia che riduca le vittime israeliane dell’attacco e consegua l’obiettivo dichiarato, eradicare Hamas. Ma, secondo la Reuters, “ciò potrebbe essere più facile a dirsi che a farsi”-

L’inferno di Gaza

Un esperto contattato della Reuters ha infatti ricordato l’ovvio, che però va tenuto presente: Gaza “è una città sotterranea piena di tunnel che fanno sembrare i tunnel dei Vietcong un gioco da ragazzi. Non metteranno fine ad Hamas con i carri armati e la potenza di fuoco”. Sempre la Reuters riferisce lo “scarso ottimismo” di esperti di Washington riguardo il raggiungimento dell’obiettivo.

“Volevate l’inferno? Avrete l’inferno”, aveva affermato il generale maggiore Ghassan Alian (non che prima fosse un paradiso). In quell’inferno, reso ancora più oscuro dai bombardamenti, dovranno addentrarsi i militari israeliani. Subiranno perdite, e il loro numero potrebbe diventare insostenibile.

E se la campagna sarà lunga – mesi, afferma la leadership israeliana – non potrà essere prolungata eccessivamente perché anche tale tempistica potrebbe risultare insostenibile. Sulla bilancia pesa il costo umano per Israele, delle vittime civili palestinesi, lo stress al quale è sottoposta la nazione, le pressioni internazionali, il potenziale allargamento del fronte ad altri attori regionali, più probabile man mano che durerà la campagna (l’allargamento del fronte cambierebbe tutto).

Così riportiamo la considerazione di un altro esperto interpellato dalla Reuters: “Uno scenario più probabile è che le forze israeliane uccidano o catturino quanti più membri di Hamas possibile, facciano saltare in aria tunnel e fabbriche [segrete] di missili, quindi, quando le vittime israeliane aumenteranno, cerchino un modo per dichiarare la vittoria e ritirarsi”. Si può notare, infine, che le bombe, stanno ingrossando le fila dei simpatizzanti di Hamas. I parenti dei caduti non accoglieranno certo i soldati di Tsahal con i fiori in mano.

Fare di Gaza un campo di concentramento?

Per quanto riguarda il futuro di Gaza, il ministro della Difesa israeliano Gallant ha dichiarato che Israele si ritirerà dalla Striscia, ma vi stabilirà un non meglio definito “regime di sicurezza“. L’annuncio serve a dare una risposta decisa alle domande sollevate da tanti politici ed esperti sulle prospettive israeliane riguardo Gaza, che esprimendo tali perplessità avevano gettato un’ombra sulle capacità strategiche della leadership di Tel Aviv.

Così la più grande prigione a cielo aperto del mondo, tale è Gaza dal 2006, subirà un’ulteriore stretta. Il carcere sembra destinato a diventare un campo di concentramento.

Si può notare che per l’attacco di terra Israele ha mobilitato lo stesso numero di forze schierato dai russi per la guerra ucraina. E i russi avevano a che fare con un esercito ben più attrezzato. Israele non vuole rischiare. Detto questo, il peso della mobilitazione sulla quotidianità della nazione è altissimo, molto più della Russia, che conta una popolazione molto più numerosa.

Certo, l’Occidente farà la sua parte perché Tel Aviv non collassi economicamente, ma i finanziamenti non basteranno a coprire i gravissimi disagi della guerra.

La disumanizzazione del nemico

Ma ben più gravi disagi stanno subendo e subiranno i civili palestinesi, sui quali si è abbattuta un’ecatombe di dimensioni epocali. D’altronde, anche il presidente israeliano Isaac Herzog ha dichiarato che “c’è un’intera nazione là fuori che è responsabile. Non è vera questa retorica secondo cui i civili non sono consapevoli, non sono coinvolti. Non è assolutamente vero. Avrebbero potuto insorgere. Avrebbero potuto combattere contro quel regime malvagio che ha preso il controllo di Gaza con un colpo di stato”. Forse si era fatto prendere la mano dalla legittima rabbia per l’eccidio subito dal suo popolo, ma le sue parole non saranno dimenticate da parte del mondo.

Tanto che anche sulla Stampa, media non certo ostile a Israele, Francesca Mannocchi ha scritto un articolo sul tema, dal titolo “La disumanizzazione del nemico”. Sottotitolo: “La barbarie di Hamas ha rafforzato l’idea che chiunque viva a Gaza sia complice e così Israele ora si sente legittimata a non fare distinzione tra civili e miliziani”. La visita del presidente Biden serviva ad attutire la furia israeliana, ma è da vedere quanto riuscirà nello scopo.

Tempo di elezioni in America e bisogna tener presente l’elettorato ebraico, come d’altronde sta facendo anche il partito repubblicano che ha una forte base elettorale negli evangelicals, i quali vivono un legame particolare con Israele fondato su un mix di interpretazioni bibliche e messianismo (New York Times).

Conservare la speranza

Chiudiamo con un cenno di sollievo, la testimonianza di Maoz Inon su al Jazeera. Inon ha perso i genitori nell’attacco di Hamas e, dopo il loro assassinio, si è consacrato alla pace: “Forse non era quello che avrei dovuto essere, ma è ciò che mi ha reso la morte dei miei genitori. Nella mia famiglia c’è la convinzione che dobbiamo mantenere l’eredità dei nostri genitori”.

“I miei genitori erano persone di pace. A loro non importava la razza, l’età o il colore di nessuno. Trattavano tutti allo stesso modo, trattavano tutti come volevano essere trattati. Erano persone di speranza. Così sono diventato un attivista per la pace per mantenere viva la loro eredità”.

“Oggi Israele sta ripetendo un vecchio errore commesso molte volte nel secolo scorso. Dobbiamo fermarlo. La vendetta non riporterà in vita i miei genitori. Non riporterà indietro nemmeno gli altri israeliani e palestinesi uccisi”.

“Farà il contrario. Provocherà ancora più vittime. Porterà altra morte”. Il neretto è nostro.

p.s. Nella foto di apertura la chiesa di San Porfirio a Gaza City