Gaza: la mattanza e il corridoio umanitario
“La morte di decine di operatori umanitari negli attacchi aerei su Gaza nell’ultimo mese ha reso il conflitto il più mortale di sempre per gli operatori delle Nazioni Unite”.
“Almeno 88 persone che lavoravano per l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, l’UNRWA, sono state uccise dal 7 ottobre. Quarantasette dei suoi edifici sono stati danneggiati”.
“Inoltre, secondo le Nazioni Unite, a Gaza sono stati uccisi almeno 150 operatori sanitari – 16 mentre prestavano servizio – e 18 operatori dei servizi di emergenza per la protezione civile di Gaza. Più di 100 strutture sanitarie sono state danneggiate”. Tanto riportava il Guardian il 6 novembre.
Inoltre, “un terzo di tutti gli edifici nel nord di Gaza sono stati danneggiati o distrutti, secondo un’analisi delle immagini satellitari New York Times, ma le bombe non hanno ovviamente risparmiato il Sud, come rilevano i satelliti suddetti.
Al 9 novembre le vittime della mattanza dii Gaza sono oltre 10mila (197 delle quali in Cisgiordania), di cui oltre 4mila bambini – “ogni 10 minuti viene ucciso un bambino palestinese”, ha twittato Ghassan Abu Sitta, chirurgo di Gaza (ancora vivo), aggiungendo che è una “guerra contro i bambini” (un po’ forte, ma la situazione in cui vive non aiuta a stemperare). Inoltre proseguono le durissime restrizioni di acqua, cibo ed elettricità.
L’ecatombe di giornalisti e la piccola défaillance dell’Hasbara
Di oggi anche la denuncia del Committee to Protect Journalists, del quale riportiamo i dati: è stata confermata la morte di 39 tra giornalisti e operatori dei media (34 palestinesi, 4 israeliani e 1 libanese), 8 giornalisti sarebbero rimasti feriti, 3 giornalisti risultano dispersi, 13 giornalisti sarebbero stati arrestati, infine si registrano numerose aggressioni, minacce, attacchi informatici, episodi di censura e uccisioni dei familiari.
Probabile che questo durissimo j’accuse – che segnala come la guerra di Gaza per i cronisti sia la più mortale degli ultimi decenni (e forse dalla Seconda guerra mondiale) – sia alla base della denuncia, avanzata nelle stesse ore, dalle autorità israeliane su possibili contiguità tra Hamas e alcuni giornalisti che hanno seguito da presso l’attacco del 7 ottobre. In tal modo la denuncia del Commitee di cui sopra viene coperta e sminuita, nonostante si tratti di soggetti diversi.
Al di là della controversia sui cronisti, catastrofica è la tragedia che si sta consumando a Gaza. Sul punto si segnala una conferenza stampa di ieri, nella quale il colonnello dell’IDF Elad Goren, portavoce dell’organismo del ministero della Difesa responsabile del transito degli aiuti verso Gaza, ha dichiarato che nella Striscia “non mancano cibo, acqua o altro tipo di assistenza umanitaria e che ogni giorno vengono monitorate le necessità basilari” all’assistenza della popolazione (Timesofisrael).
Dichiarazioni simili non aiutano Israele a rendere credibile la sua Hasbara, come viene chiamata la propaganda aggressiva volta a creare consenso internazionale verso le politiche israeliane, che sta lavorando a ritmi serrati per cercare di limitare i danni di immagine derivanti dalla dissennata campagna militare in atto.
Il corridoio umanitario
Piccola buona notizia: ieri, finalmente, si è aperto un reale corridoio umanitario per i residenti del Nord di Gaza affinché possano fuggire a Sud, del quale hanno approfittato in tanti (l’unico corridoio umanitario aperto in precedenza era rimasto attivo solo 4 ore). Non basta, urge un cessate il fuoco, che Israele non vuole.
Sul punto ci permettiamo di ricordare quanto ebbe ad affermare Maurizio Molinari, direttore di Repubblica e ora autorevole cronista embedded nell’IDF, riguardo ai corridoi umanitari sollecitati, e realizzati, dalla Russia nel corso del conflitto ucraino: “I corridori umanitari sono un metodo di cui gli ucraini non si fidano. I russi li hanno usati in Siria e Cecenia per svuotare le città per poi spianarle”. Oggi suona più ironico di allora, con Gaza spianata dalla parte di cui si è fatto cheerleader prima che fossero aperti. Se citiamo il suddetto non è per qualcosa di personale, ma solo per segnalare bizzarrie dilaganti.
Per inciso, in due anni di guerra ucraina le Nazioni Unite hanno registrato 9.614 vittime civili, di cui 2.133 causate dagli ucraini nei territori controllati dalla Russia (quindi le vittime civili causate dai russi sono in totale 7.481). Si può notare che la guerra di Gaza ha mietuto più vite di civili in un mese che non la lunga guerra ucraina.
Eppure, la Russia è stata accusata esplicitamente di genocidio e la sua invasione è stata definita “brutale” (mantra probabilmente elaborato in qualche laboratorio di Propaganda statunitense). Nulla di tutto ciò viene attribuito a quanto si sta consumando a Gaza dalle autorità d’Occidente e dai media mainstream. Dinamica usuale, quasi noiosa nella sua ripetitività, ma che va pur registrata.
Scudi umani o prigione sovraffollata?
Sulla eccessiva mortalità dei palestinesi sotto le bombe peserebbe, secondo taluni, l’eccessiva popolosità della Striscia e il fatto che le postazioni di Hamas si trovino presso territori abitati, anzi spesso si accusa Hamas di usare i civili come scudi umani.
Resta che a stipare due milioni e mezzo di palestinesi in quel fazzoletto di terra, l’area a più alta densità del pianeta, sono stati gli stessi che oggi fanno piovere bombe, negando loro uno Stato per settanta anni. Una prigione sovraffollata quella di Gaza, dov’è difficile collocare armamenti a distanza di relativa sicurezza dai civili.
Anzi il comandante in capo dell’esercito israeliano, Bibi Netanyahu, ha favorito in tutti i modi il dominio di Hamas sulla Striscia proprio per impedire la nascita di uno Stato palestinese, perché in tal modo si contrapponeva la dura Hamas alla più moderata Autorità palestinese che governa la Cisgiordania, tutto secondo la logica del divide et impera (chi fosse interessato ad approfondire, rimandiamo a: “Una breve storia dell’alleanza Netanyahu-Hamas”, Haaretz 20 ottobre 2023, articolo sul quale torneremo in altra nota).
Si spera che la mattanza registri un rallentamento. Sul punto si annota la controversia tra Netanyahu e l’amministrazione USA, con il primo che nega la pausa umanitaria chiesta con insistenza da Washington (per evitare di perdere del tutto la faccia di fronte al mondo). Sarebbe facile per gli USA piegare Tel Aviv, avendo la leva dei 14 miliardi di dollari di aiuti destinati all’alleato mediorientale. Non viene usata. E ciò pone qualche domanda suppletiva.