Israele - Hamas, la tregua incombente
Lo scambio di prigionieri tra gli ostaggi in mano ad Hamas e i prigionieri palestinesi sembra in dirittura d’arrivo. Nel riferirne su Haaretz, Amos Harel spiega che il passo rispecchia un nuovo corso della leadership israeliana.
La svolta “sembra discendere principalmente dalla consapevolezza da parte di [ministro della Difesa] Gallant e del capo di stato maggiore dell’IDF, Herzl Halevi, che non è possibile concentrarsi esclusivamente sull’offensiva militare nel nord di Gaza”.
La svolta e il mistero Hamas
“L’establishment della difesa, essendo responsabile del terribile fallimento che ha reso possibile il massacro del 7 ottobre, deve iniziare a porvi rimedio. E la rettifica non si esaurisce con la conquista del territorio e l’uccisione dei terroristi. Si tratta innanzitutto di uno sforzo per riportare a casa almeno le madri e i bambini presi in ostaggio”. Da qui anche l’indicazione del focus dell’accordo, che non riguarda tutti gli ostaggi.
Di interesse notare anche un cenno di Harel, che spiega come Hamas abbia rapporti con Mosca, ma che gli ostaggi russi finora non sono stati rilasciati. Ciò segnala Hamas come un movimento magmatico, con correnti diverse al suo interno e aperto a tante infiltrazioni.
Tanto è vero che la dirigenza di Hamas che si trova in Qatar non era a conoscenza dell’attacco del 7 ottobre, deciso dal leader di Hamas a Gaza Yahya Sinwar insieme ai capi di altre fazioni militari minori che operano nella Striscia, come ha evidenziato la Sicurezza egiziana (Mena).
Certo, i leader in esilio hanno poi dato copertura politica all’azione, ma la loro esclusione dalla catena decisionale in quel cruciale frangente è uno dei tanti misteri di quel fatidico 7 ottobre, né può spiegarsi solo con la necessità di conservare il segreto sull’attacco.
È più che probabile che i leader di Hamas di Gaza temessero che i loro massini dirigenti, Hanyeh e Meshall, potessero frenarne l’azione, avendo questi rapporti con Paesi che non avevano alcun interesse alla stessa.
Infatti, Russia, Cina e Iran, con i quali i suddetti leader hanno rapporti, stavano guadagnando influenza giorno dopo giorno in Medio oriente grazie ai molteplici processi distensivi che si stavano sviluppando (Piccolenote), mentre Israele sprofondava sempre più in un conflitto civile tra destra e centro-sinistra che lo aveva emarginato dal contesto regionale.
L’attacco di Hamas ha cambiato il quadro: se Israele resta isolato, anzi ha incrementato il suo isolamento internazionale a motivo della brutalità dell’invasione di Gaza, è però riuscita a sanare quel conflitto interno che lo stava perdendo.
Mentre la feroce conflittualità innescata nella regione dall’attacco e dalla reazione sproporzionata di Israele ha messo in crisi tutti i Paesi mediorientali e li ha posti sulla difensiva, impedendo ai processi distensivi pregressi di svilupparsi e dare frutti.
La campagna futura, la tregua e l’Endgame
Al di là del pregresso, il cessate il fuoco sembra alle porte. Probabile che sia solo una pausa della guerra, ma è già tanto. Sul prosieguo della guerra pesano le dichiarazioni radicali della leadership israeliana, il cui intento dichiarato è quello di eradicare Hamas, da cui una guerra prolungata fino al raggiungimento di tale obiettivo.
Ma tale orizzonte potrebbe risultare irrealistico. Lo spiegava il New York Times, che concludeva così un articolo nel quale dettagliava le varie problematiche che si frappongono a tale proposito: “Più a lungo si protrae la guerra, più cresce la tensione sull’economia israeliana, con 360.000 riservisti militari costretti a lasciare i loro lavoro civile per combattere”.
Peraltro, ci sono altri costi, quelli vivi della guerra e le incertezze che gravano sugli scambi commerciali (1 miliardo di Shekel al giorno, secondo il Timesofisrael). Non solo. anche le vittime del conflitto. Ad oggi l’esercito parla di vittime contenute tra i suoi soldati, che sarebbero poche decine. Ma le cifre potrebbero non essere reali. Sul web circolano video di carri armati esplosi, tanti, e di attacchi ai soldati, sia a Gaza che sul confine libanese. Filmati che interpellano.
Come interpella quanto riporta al Jazeera: “Il responsabile del cimitero militare di Mount Herzl, David Oren Baruch, ha affermato in un video pubblicato ieri – sabato – dal Ministero della Sicurezza israeliano, che il suo cimitero accoglie un gran numero di morti, al ritmo di un funerale ogni ora, ogni ora e mezza”.
Baruch ha detto: “Stiamo attraversando un periodo molto difficile. Si registra un funerale ogni ora, ora e mezza. Devo preparare un numero enorme di tombe. Solo nel cimitero di Mount Herzl abbiamo seppellito 50 soldati in 48 ore”. Al Jazeera è fonte attendibile, o almeno è reputata tale, e peraltro pubblica il video citato.
Al di là del mistero, c’è altro che preoccupa l’establishment israeliano: “’Il tempo – prosegue il Nyt – non è dalla parte di Israele, sia a livello internazionale che interno’, ha affermato il generale Kenneth McKenzie [già capo del Comando centrale dell’esercito americano ndr].
“Ciò sta esercitando pressioni sull’esercito israeliano affinché infligga quanti più danni possibile ad Hamas e il più rapidamente possibile, hanno detto funzionari e analisti”.
“‘Potrebbero non aver bisogno di elaborare un Endgame perché verrà loro imposto’, ha affermato Jeremy Binnie, esperto in difesa per il Medio Oriente che lavora per Janes, una società che opera nel campo della difesa e dell’intelligence open source con sede a Londra. ‘Faranno apparire che hanno fatto la migliore operazione militare possibile nel tempo a loro disposizione'” e chiuderanno la partita. Quanta devastazione si abbatterà su Gaza nel frattempo è tutto da vedere.
Infine, l’obiettivo di eradicare Hamas è più che sfuggente. Lo spiegava nel dettaglio su Haaretz Zvi Bar’el in un articolo del quale riportiamo l’essenziale: “La guerra ha fornito al gruppo terroristico uno status che non potrà essere ignorato da nessun futuro leader palestinese”.