Israele vuole inondare i tunnel di Gaza
Israele sta approntando un sistema di pompe per incanalare l’acqua del mare per inondare i tunnel di Hamas. Un’idea che aveva accarezzato all’inizio della guerra, ma che ora sta mettendo in pratica. La Russia ha chiesto con forza di non dar seguito alla decisione, dal momento che nei tunnel hanno trovato rifugio tanti civili in fuga dalle bombe.
Inondare i tunnel, a rischio infrastrutture e acqua potabile
E, nel rilanciare la notizia, il Wall Street Journal ha lanciato l’allarme: l’operazione “minaccia di compromettere la fornitura di acqua dolce a Gaza e di danneggiare le sue infrastrutture” della Striscia. Infatti, tra le altre cose, non ci sarebbe più acqua potabile nel territorio.
Inoltre, solo il fatto di far balenare tale possibilità – adesso più che una possibilità – complica non poco le trattative per il rilascio degli ostaggi. Hamas da oggi ha una motivazione fortissima a non liberarli, nella speranza che i suoi antagonisti evitino di dar seguito al proposito per non far annegare anch’essi nei tunnel.
Tale dinamica è stata esposta anche dall’ex ambasciatore israeliano negli Stati Uniti Michael Oren: “Hamas non rilascerà tutti gli ostaggi perché sa che, una volta rilasciato l’ultimo ostaggio, Israele inonderà quei tunnel con acqua di mare o qualche sostanza infiammabile e quella sarà la fine di Hamas” (Forbes).
L’umiliazione dei palestinesi
In attesa della decisione della leadership israeliana sul punto, la guerra ha conosciuto un altro inquietante sviluppo: nell’intento di dimostrare il successo della campagna militare, Israele ha diffuso una serie di filmati che immortalano gruppi di palestinesi in mutande sotto lo sguardo vigile dei soldati israeliani.
In un primo tempo l’IDF aveva comunicato che si trattava di miliziani di Hamas che si erano arresi, ma la narrazione non ha superato la prova della realtà, come avvenuto in altre occasioni, e si è presto scoperto che si trattava di civili.
Ne scrive anche Gideon Levy su Haaretz, in un articolo che inizia così: come se quanto si è consumato nella Striscia non bastasse, le “quasi 20mila vittime, le centinaia di migliaia di persone sradicate dalle loro case, le decine di migliaia di feriti, oltre alla fame, le malattie e la distruzione che flagellano Gaza – oltre a tutto ciò, [i palestinesi] devono anche essere umiliati. Umiliati fino al midollo, perché imparino la lezione”.
“Dobbiamo mostrare loro (e a noi stessi) chi sono (e chi siamo). Per mostrare quanto siamo forti e quanto loro sono deboli. Fa bene al morale. Fa bene ai soldati. È positivo per il fronte interno. I palestinesi umiliati sono un dono per la Hanukkah: cosa potrebbe procurare più gioia?”
“Non c’è prova più grande sul fatto che abbiamo perso la retta via che gli spregevoli tentativi di umiliare i palestinesi perché tutti possano vederli. Non c’è prova più grande della [nostra] fallacia morale che la necessità di umiliarli nella loro sconfitta”.
“Siamo come Hamas; se loro sono mostri, allora possiamo esserlo anche noi, solo un pochino. Dopo aver cancellato le vite degli abitanti di Gaza, le loro proprietà, le loro case e i loro figli, ora ci accingiamo a distruggere anche ciò che resta della loro dignità. Li costringeremo a inginocchiarsi, finché non si arrenderanno”.
Indovinato il titolo: “Nel tentativo di umiliare Gaza nel profondo, è Israele a uscirne umiliato”. Le autorità israeliane devono aver compreso il passo falso, così hanno dichiarato che immagini simili non saranno più pubblicizzate (ma la pratica resterà?).
D’altronde, tutti i palestinesi sono trattati alla stregua di potenziali terroristi, da cui certe derive inaccettabili. Tra questi, anche Refaat Alareer, docente presso l’Università di Gaza e poeta di fama internazionale, ucciso nella sua abitazione da un bombardamento. Era noto come “la voce di Gaza” e tanti, all’estero hanno pianto la sua uccisione.
Il Nobel per la Pace e la telefonata Putin-Netanyahu
Una figura, quella di Alareer, forse degna di ricevere il Nobel per la Pace per quanto ha denunciato su questa guerra, premio che invece è stato assegnato all’iraniana Narges Mohammadi, pasionaria della lotta contro il velo islamico in Iran, detenuta nel suo Paese perché accusata di collusione con organizzazioni sovversive.
La lotta contro il velo in uso in Iran – come altrove nell’islam e presso gli ebrei Haredi oggi al potere in Israele – è altamente politicizzata, come dimostra l’intensa e annosa attività della sua portabandiera Masih Alinejad (vedi Piccolenote) ed è stata usata un anno fa per infiammare le piazze, nell’ennesimo tentativo di dar vita a un regime-change a Teheran.
Nel conferire il Nobel alla Mohammadi si è voluto rilanciare la narrativa anti-iraniana, peraltro su un tema ormai non più attuale nel Paese, proprio ora che l’emergenza globale urgerebbe invece di mettere sotto i riflettori quanto sta avvenendo a Gaza. Ma tant’è, da tempo i Nobel sono usati per corroborare la politica estera dell’Impero d’Occidente.
Per tornare alla mattanza che si sta consumando a Gaza oltre al durissimo articolo del Guardian sull’ingiustificabile numero di vittime civili, segnaliamo un’analoga nota di Haaretz nella quale si concludeva che, numeri alla mano, è ormai chiaro che Israele ha ormai “abbandonato” la legge di guerra che impone di ridurre al massimo le vittime civili.
Senza scendere nei dettagli sgranati dal quotidiano, riportiamo solo la parte in cui si sottolinea che un’azione militare, per essere in linea con le leggi di guerra – peraltro richiamate anche dal presidente Biden (tragico il veto Usa sul cessate il fuoco) – deve rispettare il principio della proporzionalità tra obiettivi militari e vittime non volute (non ci piace il termine “danni collaterali”, perché la morte di un uomo non è un danno né un essere umano può essere definito “collaterale”).
Se si rileva “un’elevata percentuale di non combattenti rispetto al numero totale delle vittime – si legge su Haaretz – possiamo concludere che il principio di discriminazione non è stato rispettato e un tasso insolitamente alto [di vittime] rifletterà o un allontanamento dal principio della proporzionalità o un’interpretazione altamente flessibile dello stesso”. Molto flessibile, infatti.
Infine, va annotato che Netanyahu ha chiamato Putin. Secondo il report israeliano il primo avrebbe protestato contro il lavorio russo in favore del cessate il fuoco e la sua alleanza con Teheran; il report russo è analogo, anche se con toni più sfumati e ulteriori dettagli.
Sarebbe però sciocco credere che Netanyahu abbia conversato per “50 minuti” con Putin solo per parlare di tematiche e contraddizioni più che notorie. Probabile che si sia parlato di altro e ben più rilevante, così che l’accenno più significativo si rinviene nel report russo, che si conclude così: “Vladimir Putin e Benjamin Netanyahu hanno concordato di proseguire i contatti”. Vedremo.