Prosperity Guardian: l'ennesima guerra americana
Annunciata come una missione di vigilanza, Prosperity Guardian in realtà è il nome dell’ennesima guerra aperta dagli Stati Uniti, la “nazione più bellicosa della storia del mondo”, come ebbe ad affermare l’ex presidente Jimmy Carter. Già perché pensare di difendere i navigli che transitano nel Mar Rosso dagli attacchi Houti era ed è semplicemente irrealistico.
Anzitutto, perché si tratterebbe di dar vita a convogli al largo del Mar Rosso per evitare l’impossibile missione di difendere ogni singola nave merci che s’infila nello Stretto di Bab el-Mandeb. E mettere insieme un convoglio è cosa ardua perché, come annota il sito Trasporto Europa, richiede una “formazione specifica dei comandanti” delle navi civili, che essi non hanno.
Tale convoglio poi, continua il sito, dovrebbe essere protetto per “250 miglia nautiche (ossia 463 chilometri), che è la lunghezza della costa yemenita controllata dagli Houthi. Stimando una velocità media di 15 nodi (circa 28 chilometri) per mantenere in convoglio anche le navi più lente, ciò significa che il convoglio potrebbe essere esposto agli attacchi yemeniti per almeno sedici ore”.
Infine, va ricordato che le navi da guerra hanno scorte limitate di missili intercettori e si espongono al rischio che le loro difese siano saturate da attacchi multipli contemporanei, da cui la possibilità che i vettori attaccanti riescano a bucarle.
Non solo, una volta esaurite le scorte, esse devono essere ripristinate, operazione che comporta ovvie criticità: a far arrivare una nave cargo in loco c’è il rischio che sia attaccata; la nave militare che ha esaurito le scorte resta esposta agli attacchi; far tornare la nave in porto per riarmarsi rende meno efficace lo scudo difensivo collettivo della flotta etc.
Prosperity Guardian, bombardare lo Yemen
Insomma, quando gli Stati Uniti hanno annunciato la missione o erano degli sprovveduti oppure sapevano perfettamente che l’unico modo per attuarla era dar la caccia ai vettori Houti bombardando lo Yemen. Propendiamo per la seconda ipotesi, meglio un mix delle due.
Infatti, l’idea di bombardare lo Yemen, al di là dei rischi di un allargamento del conflitto all’Iran, di cui gli Houti sono alleati, comporta che il Mar Rosso diventerà zona di guerra che nessun mercantile si azzarderebbe ad attraversare.
Così, una missione nata per consentire alle navi merci di navigare liberamente in quel tratto di mare, lo chiuderebbe per mesi, se non per anni. Infatti, immaginare, che gli Houti siano vinti facilmente appartiene al mondo dei sogni: sono sette anni che resistono strenuamente alla guerra scatenata loro da una coalizione guidata dall’Arabia Saudita con l’incrollabile supporto americano (guerra che Riad ora vuol chiudere, in netto contrasto con follia bellicista di Washington).
Peraltro, lo Stretto sarebbe chiuso non solo alle navi dirette verso il porto israeliano di Eliat, obiettivo delle operazioni di contrasto degli Houti, ma anche ai navigli diretti verso altri Paesi, oggi liberi di transitare.
Dal momento che si tratta di uno snodo strategico per il commercio globale, ciò causerà l’innalzamento dei prezzi di varie merci, anzitutto il petrolio (che ha già iniziato a rincarare a motivo delle attuali tensioni, che hanno costretto le navi merci ad allungare le loro rotte).
Inutile sottolineare l’aspetto morale della missione Prosperity Guardian. Gli Houti hanno dichiarato che le loro operazioni di contrasto al transito delle navi dirette verso i porti israeliani finirà quando avrà termine l’operazione militare di Tel Aviv a Gaza. La missione lanciata dagli Usa, quindi, ha come conseguenza diretta quella di far proseguire la mattanza nella Striscia, nella quale a oggi si contano più di 22mila morti, di cui il 70% donne e bambini.
Ai morti e alle devastazioni di Gaza si aggiungeranno così anche i morti e la rinnovata devastazione dello Yemen, già falcidiato da sette anni di una guerra che ha causato oltre 370mila vittime, tanti dei quali bambini…
La guerra all’Iran
Resta, ovviamente, il rischio di un allargamento del conflitto all’Iran – per Netanyahu e i neocon è una vera e propria ossessione – che ieri ha inviato nello Stretto di Bab el-Mandeb un suo cacciatorpediniere. Tale sviluppo avrebbe conseguenze catastrofiche, per Teheran ovviamente, ma anche per chi lo innescherà.
Israele ne uscirebbe devastato e anche la macchina bellica americana sarebbe messa a durissima prova, correndo anche il rischio di perdere il conflitto. L’Iran non ha l’esercito di carta di Saddam e gli USA si troverebbero a combattere su di un fronte ampio quanto variegato, che va dall’Iraq al Libano al Mar Rosso. Inoltre, tale conflitto andrebbe a chiudere anche lo Stretto di Hormuz, con conseguenze ancora più catastrofiche per il commercio globale.
Certo, c’è sempre l’ipotesi che, messa alle strette, Washington usi l’atomica, ma anche tale opzione ha i suoi rischi: l’immagine degli States ne uscirebbe a pezzi e la nube radioattiva perseguiterebbe l’intero Medio oriente per anni. Inoltre, Teheran ha già inviato segnali di una possibile ritorsione contro la centrale nucleare israeliana di Dimona…
Il rischio che tale allargamento si verifichi è altissimo. Perché accada basta un reboot dell’incidente del Tonchino (che diede inizio all’intervento americano in Vietnam). Con l’Iran così vicino, attribuire a Teheran un attacco alla flotta alleata è facilissimo. Lo hanno già fatto in passato (Piccolenote), ci proveranno di nuovo.
Insomma, tante e tragiche le incognite sottese a questa missione che i Paesi che vi hanno aderito sono molti meno di quanti Washington sperava di intruppare. Nessun Paese arabo, a parte l’oscuro regime del Bahrein. Peraltro, quanti vi hanno aderito lo hanno fatto con tanta ritrosia (inglesi a parte, perché ormai succubi dei loro sogni di gloria fondati sulla rinascita della mitica anglosfera).
Infatti, le navi inviate da Francia e Italia svolgeranno la loro missione al di fuori del comando centrale della missione, mentre Canada, Paesi Bassi e Norvegia hanno inviato solo ufficiali e personale militare a tale comando.
Resta che se la bomba a tempo innescata dalla missione scoppierà, nessuno scamperà dalle conseguenze. Se guerra sarà, avrà impatto mondiale. Prosperity Guardian, nome davvero surreale per la terza guerra mondiale.
Nota a margine. Di oggi l’attentato in Iran a una manifestazione che commemorava il quarto anniversario dell’assassinio del generale Qassem Soleimani. Mentre scriviamo, i morti sono più di cento. Si registra anche un crescendo di attacchi contro obiettivi civili in Russia. Vogliono la guerra globale. Urge un freno a tali follie.