I missili del Pakistan e le bombe sullo Yemen
Il Pakistan ha lanciato missili contro l’Iran in risposta all’attacco di Teheran contro alcune basi del movimento terrorista Jaish al-Adl situate nel suo territorio, colpevoli di aver compiuto una strage contro cittadini iraniani. Nell’attacco pakistano sono stati uccisi “sette cittadini non iraniani, tre donne e quattro bambini”, si legge sull’agenzia Tansim.
Iran, i missili verso il Pakistan e il fronte del Mar Rosso
Si sta così surriscaldando un altro fronte, anche se ad oggi non sembra foriero di una prossima escalation. La Cina, che ha buoni rapporti con entrambi i Paesi, si è offerta di mediare, ma la diatriba resta da seguire,
Al di là del particolare, la discesa in campo con una postura più assertiva da parte dell’Iran, non più disposta a subir tacendo, allarga il fronte di attrito del conflitto mediorientale, con il Mar Rosso che si incendia di nuove incursioni anglo-americane contro i ribelli Houti.
Il nuovo bombardamento segue il reinserimento degli Houti nella lista del terrorismo internazionale. Un coup de theatre che offre a Washington una legittimazione per le sue nefaste operazioni contro una delle nazioni più povere del mondo, peraltro devastata da sette anni di guerra contro la coalizione guidata dai sauditi e sostenuta dagli USA.
Infatti, dopo i primi bombardamenti, alcuni esponenti del Congresso, sia repubblicani che democratici, avevano accusato la Casa Bianca di aver violato la Costituzione, non avendo chiesto il placet preventivo al Congresso.
Proteste limitate, ma che potrebbero diventare fastidiose. Classificare il movimento Houti come terroristi chiude il caso, almeno nelle intenzioni di chi ha avuto l’idea, dal momento che i bombardamenti rientrano nella campagna anti-terrorismo che gli USA dispiegano nel Paese da anni.
Anche l’UE in campo contro gli Houti?
A febbraio dovrebbe entrare in campo anche l’Unione europea, ora impegnata a litigare su chi dovrà guidare la missione. Una missione difensiva che non prevede bombardamenti. Ma si sa come vanno queste cose, si inizia a difendere per finire col bombardare.
Nel caso specifico, c’è da chiedersi se la guerra prossima ventura in cui rischia di essere precipitata l’Italia sarà intrapresa dopo un voto parlamentare, come obbliga la Costituzione, o se passerà come un’operazione militare di portata limitata decisa dai vertici della Ue con l’assenso delle nostre autorità. Si spera non sia così, la democrazia italiana, almeno quel residuo che ne è rimasto, subirebbe un vulnus irreparabile.
Si ricordi, peraltro, che l’operazione militare contro gli Houti, oggi solo anglo-americana ma con allargamento prossimo venturo, affianca e accompagna la mattanza di Gaza, dal momento che il movimento sciita ha intrapreso queste azioni di ostruzione delle navi dirette verso Israele (le altre sono indenni da attacchi, va sottolineato) come mezzo per far pressione su Tel Aviv perché cessi l’aggressione alla Striscia e consenta l’accesso degli aiuti umanitari alla stremata popolazione palestinese.
“Cessate il fuoco” è, oramai, una parolaccia
Così riportiamo quanto scrive Responsibile Statecraft: “Nelle settimane precedenti l’annuncio da parte del presidente Joe Biden le forze statunitensi e un gruppo di alleati avevano lanciato una serie di attacchi contro obiettivi Houthi nello Yemen, i principali media erano profondamente consapevoli del rischio che la guerra di Israele contro Gaza potesse trasformarsi in un conflitto regionale più ampio”.
“Tuttavia, negli articoli in cui raccontavano il desiderio e gli sforzi dell’amministrazione Biden per evitare una simile escalation, i media mainstream raramente hanno menzionato il percorso non militare più chiaro per allentare le tensioni regionali: aiutare a mediare un cessate il fuoco tra Israele e Hamas”.
Peraltro, annota quanto sia realistica tale prospettiva, ricordando che “gli attacchi nel Mar Rosso, in Iraq e in Siria si sono quasi fermati durante una precedente ‘pausa’ dei combattimenti negoziata a Gaza a novembre”, quando Israele e Hamas concordarono una tregua per effettuare uno scambio di prigionieri.
“Ma di questo non si parla mai” sui media mainstream, annota RS. Per esempio, riferisce che da gennaio i principali media americani – a cui attingono i media delle colonie europee per la propria informazione riguardo i temi sensibili – hanno pubblicato 60 articoli che avevano come focus le preoccupazioni americane per l’eventualità di un allargamento del conflitto. E “almeno 14 di essi si sono concentrati sul processo decisionale dell’amministrazione Biden”.
“Ma di questi 14 articoli, solo cinque menzionano le richieste degli avversari statunitensi nella regione, vale a dire che Israele consenta l’ingresso di cibo e medicine a Gaza e interrompa la sua campagna di bombardamenti. Nella maggior parte dei casi, gli articoli notano solo brevemente che gli attacchi Houthi sono stati effettuati ‘in solidarietà’ con gli abitanti di Gaza che soffrono. Ma da nessuna parte nella tante narrazioni sulla potenziale crisi è stato riferito come possibile opzione il perseguimento di un cessate il fuoco”.
Nessuna critica alle bombe Usa sullo Yemen, anzi, i pochi critici dell’amministrazione Biden, ne hanno lamentato la moderazione, spronandola a una maggiore “aggressività”. Non menzionando affatto l’opzione del cessate il fuoco a Gaza, denuncia Trita Parsi, vicepresidente esecutiva del Quincy Institute,”hanno privato l’opinione pubblica americana della consapevolezza che tale opzione esistesse, lasciando gli americani con la falsa impressione che le uniche opzioni fossero o non fare nulla o intensificare il bombardamento dello Yemen”.
Ma resta l’unica opzione reale per frenare la bellicosa macchina da guerra israeliana, porre fine alla macelleria di Gaza ed evitare l’allargamento della guerra. Ne hanno scritto tanti, non sui media mainstream. Tra questi Alex Stark, ricercatore della RAND Corporation (leggi Cia), che ha scritto su Foreign Affairs: “Piaccia o no, gli Houthi hanno collegato la loro aggressione alle operazioni israeliane a Gaza e questa decisione gli ha guadagnato il sostegno del proprio Paese e della regione. Trovare un approccio sostenibile a lungo termine per entrambi i conflitti è fondamentale per allentare le tensioni in tutta la regione e convincere gli Houthi a cessare i loro attacchi alle navi mercantili”.Il punto è che nell’ambito della leadership statunitense (e delle sue colonie) non è consentito neanche di parlare di un cessate il fuoco a Gaza. Da qui la forza della domanda posta dal titolo dell’articolo di RS: “Perché “cessate il fuoco” è considerata una parolaccia?”.
Per chiudere, sottolineiamo come l’operazione contro gli Houti sia stata lanciata per consentire il libero traffico delle merci nello strategico Stretto del Mar Rosso. Resta che gli Houti non minacciavano affatto il traffico generale, solo quello diretto verso Israele.
Ma se guerra sarà, il traffico collasserà per mesi e forse cesserà per gli anni a venire, a seconda della durata del conflitto (gli Houti sono duri a morire). Si ricordi, peraltro, che oltre ad ammennicoli vari, gli arsenali militari comprendono anche le mine navali… Insomma, siamo di fronte all’ennesima follia bellica neocon, nella quale si sta intruppando, al solito, l’intero Occidente.