Yemen: la guerra dell'11 gennaio
L’operazione militare in Yemen, iniziata come un intervento mirato annunciato come un’azione per difendere la libertà di navigazione nello Stretto di Bab al-Mandeb che chiude il Mar Rosso, ha preso la forma di una vera e propria guerra, con bombardamenti quotidiani dell’aviazione anglo-americana contro asseriti obiettivi Houti.
La guerra Ue nascosta come operazione difensiva
Un’operazione alla quale si è associata l’Unione europea con una propria missione navale, la Aspides, annunciata come una missione difensiva, ipocrisia che potrebbe suonare ironica se non fosse tragica, perché è ovvio che si tratta di una guerra, che non viene dichiarata per evitare il dibattito parlamentare e allarmare l’opinione pubblica.
Così la comunità occidentale accompagna ufficialmente con le sue forze la mattanza di Gaza, dal momento che le operazioni degli Houti sono iniziate, come hanno spiegato, per contrastare il traffico navale diretto al porto israeliano di Eliat allo scopo di mettere sotto pressione Israele perché cessi le operazioni militari nella Striscia.
La libertà di navigazione era cioè assicurata agli altri navigli, da cui il disvelamento della menzogna che vorrebbe legittimare l’intervento. D’altronde, la prima vittima della guerra è la verità e questa guerra è iniziata su tale fondamento. Una guerra cominciata l’11 gennaio, dove anche la data, il fatidico quanto nefasto 11, ha certa rilevanza simbolica (l’11 settembre 2001 ha dato l’abbrivio alle guerre infinite).
Sulla scia dell’intervento militare, la decisione di inserire gli Houti nella lista del terrorismo internazionale, dalla quale Biden l’aveva cancellata all’inizio della sua presidenza, quando aveva annunciato urbi et orbi che avrebbe chiuso la guerra infinita yemenita, iniziata nel 2015 da una coalizione guidata dai sauditi supportata dagli Usa contro le milizie Houti, colpevoli di aver rovesciato un regime dispotico e di non essere subordinati ai sauditi come quello.
La guerra infinita dello Yemen, il rilancio neocon
Ai tanti morti di quella guerra, oltre 370mla (tantissimi i bambini), che si è abbattuta su uno dei Paesi più poveri del mondo, se ne aggiungono di nuovi, proprio adesso che il conflitto si stava chiudendo, con i sauditi che stavano concludendo la pace con gli Houti sotto l’egida Onu (gli Usa, i neocon per la precisione, si sono opposti allo stremo a tale pacificazione e ciò spiega tante cose).
Sul National Interest, Alexander Langlois mette a fuoco le tante criticità della decisione di aprire questo nuovo conflitto. Il cronista spiega che gli Houti sono stati designati SDGT (Specially Designated Global Terrorist), designazione “meno incisiva” della FTO (Foreign Terrorist Organizations), con cui erano stati colpiti in precedenza, e gli sono stati concessi 30 giorni per ritornare sui propri passi, cosa che li farebbe cancellare di nuovo dalla lista dei cattivi.
Decisioni che, a detta delle autorità americane, dovrebbero indurre gli Houti a un ripensamento ed evitare che le diverse organizzazioni umanitarie che lavorano in Yemen si ritirino dal Paese, provocando ulteriore sofferenza.
Non sarà così, spiega Langlois, non solo gli Houti non hanno alcuna intenzione di riporre le pistole nella fondina, anzi la decisione di bombardare lo Yemen ha reso ancora più popolari le milizie tra la popolazione civile, perché reputano giusta la loro causa e ingiuste le bombe Usa (difficile dargli torto).
Così continueranno nelle loro azioni, come sa perfettamente Biden, che lo detto in una stralunata intervista (le bombe, ha ammesso, non faranno desistere gli Houti, ma continueremo a sganciale), concetto, scrive Langlois, ribadito candidamente dal Consigliere per la Sicurezza nazionale Jake Sullivan a Davos il 16 gennaio.
Le sanzioni colpiranno la popolazione, non gli Houti
Inoltre, “l’impatto reale delle sanzioni sugli Houthi sarà trascurabile. I leader del gruppo non hanno conti bancari esteri e custodiscono la maggior parte dei loro fondi nel paese. Sono finanziati attraverso canali illeciti già pesantemente sanzionati dalle Nazioni Unite e dalla maggior parte dei paesi occidentali. Canali di sostentamento segreti che continueranno a fluire. Peraltro, “gli Houthi sanno che nessuno verrà a cercarli a Sana’a”.
Allo stesso tempo, scrive Langlois, “la storia suggerisce che le istituzioni finanziarie e gli attori umanitari e per lo sviluppo – due tra i più importanti attori del settore umanitario – in genere si avvicinano ai già complessi regimi sanzionatori statunitensi da una posizione avversa al rischio [cioè sono propensi a evitarli, quindi c’è il serio pericolo che se ne vadano dal Paese ndr]. Inoltre, [la storia] dimostra che la tante sanzioni seriali e i bombardamenti nello Yemen hanno prodotto un solo risultato: guerra, morte e carestia”.
Così, sebbene l’amministrazione Biden cerchi laudi “per aver tentato di ponderare le sanzioni collaborando con i principali attori delle missioni umanitarie in Yemen, la realtà è che Washington sta si muove in maniera confusa riguardo le criticità più significative della campagna (ad esempio, porre fine alla guerra in Yemen e chiudere una buona volta le ‘guerre eterne’ in Yemen e Medio Oriente), dal momento che ha sacrificato la vita e il benessere dello Yemen sull’altare dei suoi interessi geopolitici regionali, vale a dire difendere Israele a tutti i costi“.
“[…] Quel che è peggio, gli attacchi statunitensi contro gli Houthi non hanno fatto altro che rafforzare le preoccupazioni sul trasporto marittimo internazionale, che Washington sostiene di difendere per il bene della stabilità regionale e della propria credibilità” [l’intensificarsi della guerra, infatti, terrà alla larga le navi ndr].
L’istinto ferale delle guerre infinite
“In definitiva, l’escalation statunitense non sta raggiungendo la stabilità né rafforzando la credibilità americana. Piuttosto, la decisione di sanzionare gli Houthi riflette una serie di azioni più istintive che razionali, cosa che da tempo caratterizza l’interventismo statunitense in tutto il mondo”.
“L’amministrazione Biden spera di riconquistare credibilità a livello internazionale difendendo il trasporto marittimo globale, ignorando completamente il fatto che i suoi sforzi sono intrinsecamente contraddittori rispetto a tali obiettivi perché non raggiungeranno l’effetto previsto e non riusciranno a rispondere a una domanda fondamentale: ‘Come andrà a finire?’ Una domanda alla quale gli alti funzionari statunitensi non sono riusciti a rispondere nella conferenza stampa del 16 gennaio”.
“[…] Piuttosto che continuare a intraprendere politiche regionali fallite, gli Stati Uniti dovrebbero prendere in considerazione l’unica azione chiara che può mettere fine agli attacchi Houthi sulle spedizioni internazionali: un cessate il fuoco permanente tra Israele e Hamas. Ciò risolverebbe molteplici problemi che la politica estera statunitense deve affrontare oggi, se l’amministrazione Biden mostrasse una vera leadership facendo pressioni su Israele. Fino ad allora, solo un’invasione dello Yemen potrà fermare gli Houthi, che continueranno ad intensificarsi finché non accadrà qualcosa di terribile”.
Annotiamo, infine, che il Parlamento yemenita [ nella foto di apertura ], cioè un parlamento sovrano che sta rischiando le bombe, ha designato gli Stati Uniti e il Regno Unito come terroristi. Designazione immaginifica, certo, ma suona paradossalmente più fondata rispetto a quella che colpisce gli Houti…