Gaza. La strage del cibo
Inutile commentare il massacro dei palestinesi che cercavano di ricevere gli aiuti inviati a Rafah perché non abbiamo parole (sul punto rimandiamo ad un addolorato articolo di Fulvio Scaglione su InsideOver). Di interesse, un articolo di Amos Harel su Haaretz, il quale, nel titolo spiega che la strage “potrebbe cambiare il corso della guerra tra Israele e Hamas”.
E ciò nonostante le usuali giustificazioni israeliane, alle quali, come registra il cronista, non crede praticamente più nessuno. Così Harel: la strage ripete “lo scenario di Kafr Kana, che nel 1996 portò ad una conclusione anticipata del previsto dell’Operazione Grapes of Wrath nel sud del Libano. Dieci anni dopo, in un’altra guerra in Libano, Hezbollah cercò di gonfiare un incidente [così nel testo… ndr] con caratteristiche simili, avvenuto addirittura nello stesso villaggio. In quel caso fu concordato un cessate il fuoco di 48 ore, ma poi i combattimenti ripresero per altre due settimane finché non fu trovata una soluzione che pose fine alla guerra”.
Gaza: la morte, la fame
Altre volte, tragedie simili sono state presto dimenticate, come quella dell’ospedale di al Shifa all’inizio della guerra di Gaza, scrive Harel, ma stavolta è diverso perché la strage di giovedì mattina “è reale”, cioè i morti non possono essere sminuiti come altre volte. Peraltro, nonostante tutte le giustificazioni che si possono dare, le immagini della folla affamata che assalta il camion di aiuti per un tozzo di pane restano. E quella fame è stata provocata, non è colpa di Hamas…
Una fame dovuta anzitutto alle dure restrizioni imposte da Israele, ma anche al taglio dei fondi all’Agenzia che soccorre i palestinesi (oggi la Ue ha deciso di stanziare 50 milioni di euro, quando arriveranno?). Sulla fame dilagante a Gaza, dove i bambini bevono acqua fetida, mangiano erba e farine ricavate da mangimi animali e tanto altro rimandiamo a un articolo di Megan K. Stack pubblicato sul New York Times.
Nell’articolo della Stack, tra le altre cose, anche l’umoristico, se non fosse tragico, ringraziamento di Biden a Israele per aver permesso a una nave carica di farina proveniente dagli Usa di giungere a Gaza, non sapendo che “Israele aveva fatto esattamente il contrario”, cioè l’aveva bloccata al porto di Ashdod…
Harel allarma giustamente che è più che probabile che quanto accaduto “si ripeta su scala ancora più ampia man mano che il caos a Gaza si allarga. E non esiste una soluzione politica in grado di placare le passioni per tentare di imporre un qualche ordine”.
Il cessate il fuoco e la guerra contro Hezbollah
Sulle prospettive di un cessate il fuoco, Harel scrive che la strage “di giovedì è arrivata nel bel mezzo degli sforzi americani per arrivare a un nuovo accordo sulla liberazione degli ostaggi, la cui prima fase sarebbe accompagnata da un cessate il fuoco di sei settimane. È possibile che Washington sfrutti il disastro per aumentare la pressione su Israele affinché limiti la sua attività militare e accetti una rapida soluzione”.
Non è solo Harel a scriverne. Haaretz, nel suo editoriale, che pure non può criticare in maniera aspra le forze israeliane, lancia un appello a chiudere la guerra. Un editoriale che termina in maniera lapidaria: “È ora di fermarsi”. Il 10 marzo inizia il Ramadan. Data fatidica per il cessate il fuoco. Vedremo.
Una nota a margine la merita un altro accenno di Harel: “Alcune personalità israeliane di alto rango continuano a lamentarsi del fatto che gli americani si stanno intromettendo e interferendo negli sforzi dell’IDF per completare la conquista della Striscia di Gaza, e che hanno anche sventato il piano di Israele di lanciare un attacco a sorpresa contro Hezbollah l’11 ottobre“.
La pressione per allargare la guerra al Libano è ancora forte, anzi fortissima. Ampliare la guerra avrebbe l’effetto di un lavacro in grado di dilavare e far dimenticare tutto quel che è accaduto a Gaza. Oltre a costringere l’Occidente a serrare le fila e a stringersi ancor più all’alleato mediorientale.