Israele prende il valico di Rafah. La tattica dilatoria di Netanyahu
Dopo l’annuncio di Hamas, che ha accolto la formula di pace elaborata da Egitto e Stati Uniti, Israele ha inviato i carri armati a prendere il controllo del valico di Rafah e, in parallelo e nonostante il pubblico rigetto, un delegazione al Cairo per proseguire i negoziati.
La contraddizione apparente di Netanyahu
Due mosse solo apparentemente contraddittorie, scrive Anshel Pfeffer su Haaretz, che servono al premier israeliano per prendere tempo. Infatti, la mossa di Rafah è stata solo simbolica, avendo i carri armati aggirato la città. Non è stato, cioè, un attacco massivo, che avrebbe irritato l’America, decisamente contraria a tale sviluppo. Ma, allo stesso tempo, lo sfoggio muscolare serviva a rassicurare i suoi sostenitori sulla sua determinazione a fare quanto promesso.
Allo stesso tempo, la mossa di inviare una delegazione al Cairo per proseguire le trattative non ha lo scopo di arrivare a un’intesa con Hamas, secondo Pfeffer, ma solo prendere ulteriore tempo.
Lo denota il fatto che sia una delegazione di basso profilo, la cui mission sarebbe quella di trovare falle nella formula di tregua egiziana accolta da Hamas, così da dare a Netanyahu un “pretesto” per rigettarla. Allo stesso tempo, però, prosegue Pfeffer, sia l’Egitto che gli Stati Uniti sono determinati a non dare a Netanyahu tale pretesto.
Affossare i negoziati tra Israele e Hamas
Pfeffer non lo esplicita, ma anche la mossa di Rafah serve a porre criticità nei negoziati, avendo Hamas più volte affermato che un attacco contro la città avrebbe fatto collassare il dialogo. Peraltro, la bassa intensità dell’iniziativa militare sembra esser nata da un compromesso interno della leadership israeliana.
Infatti, come rivelato da Michael Hauser Tov su Haaretz, giovedì scorso il gabinetto di guerra ha visto un braccio di ferro tra il premier, che voleva affrettare la campagna di Rafah, e “alti funzionari israeliani, secondo i quali Hamas era prossimo ad accettare il rilascio degli ostaggi e un cessate il fuoco, e che tale decisione avrebbe mandato all’aria l’accordo”.
Il fatto è che Netanyahu si trova di fronte a un rovello. Da una parte, una campagna su larga scala contro Rafah rischia innescare più forti contrasti interni e di rompere drasticamente i rapporti con gli Stati Uniti, che ieri hanno inviato un segnale forte a Israele sospendendo l’invio di aiuti militari; dall’altra, però, non vuole rompere con i suoi alleati e la sua base, che spingono per l’attacco contro Rafah e non vogliono accordi con Hamas.
Stando così le cose, secondo Pfeffer, il premier israeliano farà di tutto per evitare di essere costretto a scegliere tra l’America e gli ultraortodossi e c’è da aspettarsi che i negoziati si prolunghino ad libitum, “mentre Netanyahu cerca di ritardare l’inevitabile”.
Detto questo, la mossa di Rafah non è stata affatto indolore. Infatti, ha tranciato l’ultimo cordone ombelicale tra i palestinesi e il mondo esterno, essendo rimasta aperta solo la frontiera di Kerem Shalom, sotto la stretta sorveglianza dell’IDF.
E se è vero che non si è trattato di una manovra massiva, le bombe sono ugualmente cadute con più intensità nell’area, mietendo ulteriori vite, con i palestinesi che stanno cercando in massa riparo altrove. Altro esodo, altre sofferenze…