Sventato golpe in Congo
Tempi nervosi questi. Di ieri la notizia del fallimento di un golpe nella Repubblica democratica del Congo, consistente in uno stravagante assalto ai palazzi del potere, che poi si è limitato a una dimostrazione di (non) forza nei pressi della residenza del ministro dell’economia che si trova nelle adiacenze del palazzo presidenziale, il Palais de la Nation.
Un’azione all’apparenza squinternata da parte di una ventina di congiurati, anche se negli scontri con la sicurezza sono morte alcune persone. Infatti, i golpisti hanno fatto una sorta di carnevalata, trasmettendo video contro le autorità e che li ritraevano mentre si aggiravano armati nei dintorni degli edifici chiave del Paese, intenti a tirar giù l’attuale bandiera nazionale per innalzare al suo posto quella dello Zaire (il nome che Mobutu diede alla nazione quando andò al potere nel 1971 e cancellato con la sua caduta nel 1997).
Americani dalla Georgia al Congo
A guidare il manipolo di mestatori, Christian Malanga un ex rifugiato congolese naturalizzato negli Stati Uniti – si legge su wikipedia – dove ha fondato anche il partito congolese unito, attivo nella diaspora, per poi fondare nel 2016, a Bruxelles, un governo in esilio chiamato “Nuovo Zaire”, con invitati illustri alla cerimonia di inaugurazione, provenienti da Paesi Ue e dagli States.
Ancora più interessante, dato quanto sta accadendo a Tblisi, la partecipazione di Malanga a un meeting per la formazione di nuovi leader politici tenuto in Georgia nel 2016, sponsorizzato dalla Gran Bretagna.
La sua avventura è finita ieri, essendo purtroppo rimasto vittima degli scontri. Arrestato anche il figlio, cresciuto in America sulle orme del padre, che faceva parte dell’improbabile commando.
Più interessante ancora quanto riporta il Daily Mail riguardo all’arresto dei tre americani che facevano parte del manipolo: “Articoli pubblicati sui media locali ipotizzavano che gli uomini arrestati fossero agenti della CIA”. Sempre il Daily Mail riporta che il generale Sylvain Ekenge, portavoce dell’esercito, ha detto che un altro membro del commando era un “cittadino britannico”. Ovviamente, gli Stati Uniti hanno subito preso le distanze dall’azione.
Resta lo sconcerto per un’operazione tanto velleitaria e sconclusionata. Possibile che davvero quella ventina di uomini speravano di riuscire in un’impresa tanto impossibile? Troppo folle, evidentemente qualcosa è andato storto e si sono ritrovati da soli.
Guaidò, Prigozhyn, Malanga
Quanto successo ricorda molto da vicino il tentativo di golpe dell’autoproclamato presidente del Venezuela Juan Guaidò, che una mattina, con un manipolo di arditi, prese il controllo di un posto di una caserma dalla quale iniziò ad arringare via media il Paese, sicuro di avere l’appoggio dell’intelligence e di parte dell’esercito. Cosa non avvenuta e golpe fallito miseramente.
Ma ricorda anche il tentativo, più massivo (ma ex post altrettanto velleitario) di Prigozhin, che con la sua Wagner marciò su Mosca sicuro dell’appoggio di parte dell’apparato, anche in questo caso latitante perché, come per Guaidò, i suoi antagonisti avevano anticipato la mossa e preso le contromisure del caso.
Non abbiamo fatto a caso l’esempio di Prigozhyn perché da qualche tempo i rapporti tra le autorità congolesi e la Russia si sono intensificati a vari livelli, tanto che a marzo si è arrivati a un accordo di cooperazione militare (che potrebbe spiegare tante cose).
Ma al di là dell’accordo recente, è da tempo che la Russia si interessa alla Repubblica democratica del Congo, tanto che capita, a volte, di rinvenire sui media statali russi notizie degli scontri tra l’esercito e i cosiddetti ribelli del Nord Est del Congo (notizie introvabili altrove), asseriti ribelli che hanno nell’M-23 il movimento più aggressivo, in realtà solo mercenari pagati per destabilizzare la regione così da poterne depredare le immense ricchezze, anzitutto il coltan, indispensabile per la nostra tecnologia.
Tentativi di putsch e truppe in ritirata
Un’immane tragedia che si dipana da decenni sotto gli occhi indifferenti dell’Occidente – a cui necessita il coltan sottocosto – che per far finta di sedarla ha inviato un contingente Onu, la cui persistente inutilità è stata denunciata in maniera plateale dall’attuale presidente, Felix Tshisekedi, che ne ha chiesto il ritiro (in via di attuazione).
Così nella Repubblica democratica del Congo si è ripetuta, su altra scala e in altra direzione, quanto avvenuto per le giunte golpiste del Sahel, con le truppe straniere costrette ad ammainar bandiera e a tornarsene in patria. Un vento nuovo scuote l’Africa, che sta tentando di spingere le forze occidentali et similia fuori dai suoi confini.
Uno sviluppo analogo, infatti, sembra potersi registrare in Senegal dopo la vittoria alle presidenziali di marzo del giovane Diomaye Faye. Di questi giorni l’intervento ad ampio respiro di Ousmane Sonko il leader carismatico del partito di Faye, che il neopresidente ha subito elevato a premier facendolo uscire dalla prigione in cui era ristretto.
Nel suo intervento, Sonko ha ventilato la possibilità di chiudere la basi francesi sparse nel Paese e di porre fine al franco CFA, la moneta africana residuo del colonialismo transalpino.
Sarebbe un altro durissimo colpo per la Françafrique, inferto peraltro dalla colonia più cara al moribondo imperialismo parigino, una prossimità simboleggiata perfettamente dal rally Parigi-Dakar.
A proposito di golpe. sembra che Recep Erdogan sia stato informato di un tentativo di putsch in Turchia. Scarne le notizie, ma a metà maggio la polizia ha arrestato oltre 500 persone in tutto il Paese perché accusate di collegamenti con il fallito golpe del 2016. Arresti tardivi che sembrano confermare l’indiscrezione più recente. Tempi nervosi, appunto.